Viaggio in Albania e Macedonia

Andiamo a conoscere i nostri “dirimpettai adriatici”, vicini ma in parte ancora misteriosi: un’esperienza da raccomandare

PROLOGO: IL VIAGGIO
Siamo partiti alla volta dell’Albania e della Macedonia il 31 luglio 2009 da Brindisi, con la nave che ci avrebbe portato a Valona (Vlora in albanese). Al check in eravamo gli unici italiani presenti (eccetto una ragazza fidanzata con un albanese che andava a conoscere i futuri suoceri); c’era una fila spaventosa già due ore prima che aprisse lo sportello, noi ci siamo accodati e ci siamo predisposti ad una lunga attesa. C’è da dire che abbiamo fatto subito conoscenza con il popolo albanese, quando la gente si è accorta che eravamo italiani (c’è voluto poco) tutti hanno iniziato ad attaccarci bottone, a chiedere cose, stupiti e segretamente orgogliosi che andavamo a visitare il loro paese. Quello dello stupore sarà una costante di tutto il nostro viaggio, ci siamo sentiti chiedere mille volte dai locali: Perché siete venuti in vacanza in Albania? segno chiaro del fatto che di turisti da queste parti ne vedono pochi?
Anche al check in la gente ci chiedeva: Ma davvero andate in Albania in vacanza? ed alla nostra conferma erano tutti contenti. Quando è aperto l’ufficio dove due o tre funzionari di pubblica sicurezza controllavano (senza grande entusiasmo) i visti e la documentazione, abbiamo cercato di farci notare visto che i cittadini UE non hanno bisogno di visto o di passaporto ma non siamo stati notati e siamo rimasti in fila per un tempo interminabile fin quando un albanese in coda con noi non mi ha preso di peso e mi ha indicato un’uscita che bypassava le forche caudine del controllo passaporti: lì era la fila per gli italiani, solo che la fila non c’era così in due minuti abbiamo mostrato le carte d’identità ad una poliziotta e siamo saliti sulla nave vergognandoci un po’ di essere così privilegiati.
Peraltro abbiamo capito subito una cosa molto importante: gli albanesi sono molto cortesi ed ospitali e non fanno mai mancare il loro aiuto al turista bisognoso. Stavamo per salire sulla nave per l’Albania per cui eravamo già cosa loro, già loro ospiti, per questo il signore al check in mi aveva mostrato come passare in pochi minuti mentre lui si sarebbe dovuto sorbire almeno altre due ore di fila.
Sul viaggio nulla da dire, non avevamo preso le cuccette per cui ci siamo coricati in terra, sotto gli occhi un po’ critici degli albanesi ricchi che andavano a dormire nella loro cabina.Il viaggio da Brindisi dura poche ore, quando siamo arrivati in vista di Valona, poco prima dell’alba, la nave si è fermata ed ha aspettato in modo da non arrivare ancora a notte, insomma verso le sei siamo entrati nel porto, costellato di relitti semisommersi di pescherecci e siamo sbarcati in cima ad un lunghissimo molo che abbiamo dovuto percorrere a piedi fino ad un edificio doganale in cui il controllo è stato piuttosto rapido: un’occhiata alla carta di identità ed un sorriso dopodiché siamo usciti dalla porta sul retro ed eccoci in Albania!

VALONA (VLORA O VLORË)
Il porto di Valona è identico a tutti i porti: odore di acqua ferma, gasolio e pesce, rumore di vecchi diesel marini e di sartie che sbattono sugli alberi delle barche a vela, qualche pescatore e nessun altro a giro.
Evitiamo di raccontare il primo impatto con questo paese per non rovinare la sorpresa a chi (noi speriamo che siano molti!) deciderà di visitarlo. Erano le sei e mezza, di gente non ce n’era molta ed anche i bar erano chiusi, così abbiamo passeggiato un po’ per la via principale, alberata di palme e affiancata da file di palazzoni orrendi come credevamo ce ne fossero solo nella periferia romana. Dopo un po’ abbiamo deciso di andare in albergo (lo avevamo prenotato dall?Italia) ed abbiamo scoperto che, se il corso era così ben tenuto, le strade secondarie che vi si immettono sono spesso sterrate e sempre piene di buche che fatalmente si trasformano in enormi pozzanghere e che le case che vi si affacciano sono dei tuguri che cadono letteralmente a pezzi. Ovviamente anche davanti ai tuguri sono parcheggiate numerose Mercedes ma di questo avremo modo di riparlare.
L’albergo era nuovissimo e piuttosto lussuoso (quindi piuttosto brutto) e sorgeva come un fungo in mezzo ad un quartiere di catapecchie, quando siamo arrivati il manager, che parlava italiano meglio di noi, ci ha accolto con molto calore e ci ha detto che la nostra stanza non era libera, attimo di terrore. quindi ci avrebbe dato l’unica stanza libera ovvero la suite (!). Io non ero mai stato prima in una suite d’albergo, quella aveva un letto enorme, il salottino con mobile bar, la Jacuzzi in bagno (che goduria), un fagiano impagliato su un mobile e tanto spazio che si sarebbe potuta disputare una bella partita di calcetto. Un vero lusso, il tutto per l’esorbitante cifra di 46 euro per notte (in due)! Sarebbe stata peraltro la sistemazione nettamente più cara di tutto il viaggio (assieme all’albergo di Tirana).
Valona non ha moltissimo da offrire al turista, la piccola moschea di Muradi (molto carina), qualche monumento del realismo socialista (di cui il sottoscritto è un appassionato) circondato da un parco in cui dei bei vecchietti passano il tempo giocando a carte sulle panchine, e poco più, quindi abbiamo impiegato il nostro tempo a girellare per la città ed a cercare di capire questo paese.
Innanzi tutto abbiamo capito che la lingua albanese non è ostica ed impronunciabile come le lingue slave, magari può far paura a chi la vede scritta perché è zeppa di strani segni o di lettere assortite in maniera singolare, ma la pronuncia di quasi tutte le parole non presenta difficoltà. Se parlerete qualche parola di albanese farete incetta di sorrisi e vi guadagnerete la simpatia dei locali. Inoltre in questa zona dell’Albania quasi tutti parlano italiano per cui non è assolutamente difficile comunicare.
Due o tre avvertenze sono assolutamente necessarie: non bevete acqua del rubinetto soprattutto in estate altrimenti il vostro intestino potrebbe ribellarsi, chiedete bevande senza ghiaccio (pa akull) perché questo è fatto con acqua di rubinetto. Non si tratta di rischi marginali, chi scrive ne ha fatto una sgradevole esperienza personale. Inoltre occhio a dove mettete i piedi! Noi non abbiamo visto, come dicono molti, i tombini scoperchiati in mezzo alla strada ma queste e soprattutto i marciapiedi sono pieni di buche, talvolta dei veri crateri profondi un metro e finirci dentro potrebbe indurvi a fare conoscenza con i servizi sanitari albanesi (che tutti sconsigliano). La guida degli albanesi varia da molto disinvolta a criminalmente suicida per cui è sempre opportuno guardare bene prima di attraversare, non aspettarsi mai che, strisce o non strisce, un albanese si fermi per nessun motivo per farvi attraversare la strada, avere 4 occhi insomma. Quasi nessun albanese aveva la patente alla metà degli anni 90 per cui i guidatori che incontrate nella migliore delle ipotesi guidano da non più di 15 anni e hanno imparato tutti insieme per cui non hanno potuto approfittare dell’esperienza di persone più esperte.
Valona in estate è presa d’assalto dagli albanesi dell’interno, del Kosovo e della Macedonia che vengono qui al mare e le spiagge urbane non sono esattamente l’immagine dell’igiene, per cui a chi desidera farsi un bagno consigliamo vivissimamente di recarsi ad Uji i Ftohtë (pronuncia: ui i ftot), località balneare facilmente raggiungibile in autobus (un autobus delle linee urbane di qualche città italiana riadattato, con ancora le scritte in italiano, costa 30 lek) in cui, se la spiaggia, ahimè, è situata accanto alla strada, almeno può godere di acqua pulita. Noi ci siamo stati e non abbiamo particolarmente apprezzato la spiaggia (memori delle spiagge maremmane che frequentiamo quotidianamente), in compenso abbiamo apprezzato moltissimo un ristorante al di là della strada dove abbiamo mangiato divinamente un pranzo di pesce annaffiato da una bottiglia di bianco locale (potabile se non ottimo, cosa non frequente tra i vini albanesi). Il tutto è costato ‘ben’ 30 euro compresa la mancia al cuoco, che aveva lavorato per diversi anni a Rimini e con cui abbiamo parlato a lungo.
Da Valona siamo partiti alla volta di Berat, su un autobus decisamente scalcinato. La stazione degli autobus si prende da una traversa della via principale, non lontano dal centro.

BERAT (BERATI)
Berat è una delle città più turistiche dell’Albania, il che significa che durante il vostro soggiorno incontrerete due o tre turisti, in compenso c’è moltissimo da vedere e, a parte il caldo, si tratta di una città piacevolissima. Inoltre molti parlano italiano, parte della città è stata costruita durante l’occupazione italiana degli anni 30 (si incontrano ancora i tombini con il fascio littorio e le scritte in italiano) e si respira un’aria abbastanza casalinga.
Appena siamo scesi dall’autobus ci ha avvicinati un signore in bicicletta che ci ha proposto delle camere, noi inizialmente eravamo un po’ incerti, poi abbiamo accettato ed abbiamo fatto bene. Questa persona si chiama Tomor Shehu e a Berat lo conoscono tutti, affitta camere nella sua abitazione che è sita dietro la moschea degli scapoli (una delle attrazioni di Berat), nella zona più centrale che ci sia. La mattina vi inviterà a fare colazione in casa sua, in compagnia sua e della moglie e vi servirà quello che è un vero e proprio pranzo con uova sode, formaggio, qofte (pronunciato ‘ciofte’, polpettine di carne alla griglia simili al cevapcici dell’ex Jugoslavia) ed un’ottima bevanda analcolica tratta dalle prugne che fa la moglie. Inoltre è estremamente gentile, ospitale e parla bene italiano; vi consigliamo vivamente di soggiornare da lui. Se non lo trovate alla stazione degli autobus è quasi sicuramente al museo etnografico, dove lavora.
La città è divisa in 3 quartieri: Mangalem, Gorica (al di là del fiume Osumi) e Kalasa (il castello in cima alla collina), si tratta di una città molto fotogenica e le casette bianche con tetto di ardesia che si arrampicano sul fianco della montagna sono una foto che chi va in Albania non può esimersi dallo scattare; per individuare gli scorci più caratteristici vi consigliamo di avventurarvi per le stradine acciottolate e molto ripide dei vecchi quartieri.
Calcolate almeno 3 giorni per vederla tutta, ci sono chiese splendide (talvolta arroccate in posizioni impossibili su ripidissime pareti rocciose), un castello in ottimo stato, moschee, un bel ponte su un bel fiume, un museo etnografico in una casa turca perfettamente conservata ed una delle più importanti raccolte di icone di tutti i Balcani (in un museo all’interno del castello).
A Berat, come ovunque in Albania, il cibo è ottimo ma è molto ricco di carne. Per i vegetariani può essere molto difficile trovare qualcosa da mangiare e il rischio è quello di dover vivere con una dieta di insalata, formaggio, pizza e pasta. C’è da dire che le verdure sono squisite e prive di residui di pesticidi (i contadini non si possono permettere i costosi prodotti chimici) e che gli animali sono allevati in maniera naturale, l’allevamento in batteria è ignoto da queste parti. Se non vi piace il cetriolo (come a noi) non è facile trovare dei piatti che non ne contengano; non è uno scherzo, qui mettono fette di cetriolo anche nei toast! In caso imparate a dire pa kastravec (pa castravez, senza cetriolo). A Berati si può tranquillamente bere l’acqua del rubinetto (ce lo ha detto Tomor ma noi a scanso di equivoci abbiamo bevuto acqua in bottiglia).
Una tipica usanza albanese è il xhiro (pron. ‘giro’) che consiste nel riversarsi in massa di tutta la popolazione in strada durante le ore fresche del tardo pomeriggio per passeggiare, prendere una birra o un caffè in uno dei numerosi bar e fare quattro chiacchiere con gli amici. Anche per il turista è piacevole passeggiare durante il xhiro, inoltre è molto economico cenare nei vari chioschi che vendono byrek, una specie di pasta sfoglia ripiena di carne, formaggio o altro, buona e un po’ meno unta del simile burek del resto dei Balcani.
A Berat abbiamo fatto incontri piacevoli, come un simpatico vecchietto che parlava perfettamente italiano (aveva studiato nelle scuole italiane durante l’occupazione fascista) che ci ha abbordati in strada e intrattenuto a chiacchiera per una mezz’oretta; ci ha perfino cantato con ottima voce alcune canzoni italiane dell’epoca.
Dalla stazione degli autobus di Berat ci sono numerose corse per tutta l’Albania centrale, noi siamo partiti per Tirana, capitale dell’Albania.

TIRANA (TIRANË)
Gli autobus ed i furgon di solito non arrivano in centro ma vi lasciano sperduti in qualche anonima periferia, dove ci sono sempre frotte di tassisti che vi porteranno per qualche centinaio di lek (all’epoca 130 lek = 1 euro) in prossimità di piazza Skanderbeg, il cuore della città, nei cui pressi si trovano tutte le non moltissime attrazioni turistiche di Tirana.
Vi consigliamo di rivolgervi ad una delle varie agenzie che si trovano nei dintorni della piazza, soprattutto in Boulevard Zogu I; gli alberghi di Tirana sono abbastanza cari rispetto alla media albanese e di solito per una doppia con condizionatore (indispensabile!) e bagno in camera ci saranno da spendere una cinquantina di
euro. A Tirana non c’è possibilità di alloggio presso privati.
La piazza Skanderbeg è un luogo piuttosto singolare, su un lato c’è l’edificio del Museo Nazionale dell’Albania, in puro stile realista socialista con tanto di enorme mosaico che campeggia sull’ingresso, a fianco si erge una bella moschea settecentesca e sul lato opposto si apre un vialone adatto alle parate militari fiancheggiato da edifici di evidente stile fascista. Un melange (in italiano accozzaglia), insomma, ma non privo di stile e piacevole a vedersi.
Nella stessa piazza, davanti alla moschea c’è il monumento a Gjergj Kastriot Skënderbeu, ovvero Giorgio Castriota Skanderbeg, l’eroe nazionale albanese, altra foto che non potete non portare a casa. Il museo è interessante, affronta la storia albanese dall’antichità fino a tempi recenti, particolarmente interessante la parte dedicata alla seconda guerra mondiale, in cui gli italiani vengono presentati un po’ come vili invasori (che è un po’ quello che siamo stati, in fondo), a noi, abituati a sentirci ‘italiani brava gente’, questo fa uno strano effetto ed è foriero di utili meditazioni.
La moschea di Et’hem Bey dall’esterno è molto bella, all’interno pare che sia ancora meglio ma purtroppo quando siamo stati lì era chiusa. Dietro c’è la torre dell’orologio, della fine dell’800, su cui si può salire a pagamento e da cui si gode un bellissimo panorama della città.
Girellando per Tirana può capitare di vedere dei palazzi colorati di violetto porpora o con disegnate grandi forme geometriche di tutti i colori o ancora con disegni di alberi e fiori. Si tratta di un’iniziativa di Edi Rama, il sindaco della città, che ha così cercato di rendere meno triste e cadente l’abitato negli anni 90.
Un quartiere che merita di essere visitato è Blloku, posto oltre il torrente Lana, che ai tempi del comunismo era la residenza dei funzionari del partito e a cui era vietato l’accesso ai ‘comuni mortali’, oggi, per uno strano contrappasso, questa zona è diventata un tempio del consumismo, piena di locali anche molto cari in cui si può osservare la Tirana ‘bene’ (si, c’è anche una Tirana bene). Noi siamo stati allo Sky Club, sito sulla cima del grattacielo più alto della città, ci siamo limitati a prendere un drink a prezzi proibitivi (cioè un po’ meno che in Italia) sulla terrazza dell’ultimo piano che, curiosamente, è girevole. Il ristorante più sotto è carissimo (anche per gli standard italiani!).
Da Tirana si possono effettuare gite di un giorno verso diverse località, noi siamo stati a Kruja, una simpatica cittadina collinare non distante da Tirana a cui gli albanesi sono molto legati perché è stata la patria di Skanderbeg. Per andarci abbiamo preso un taxi dal centro di Tirana ma ci sono anche dei furgon (chiedete al vostro hotel perché i furgon per le varie città partono da stazioni diverse), il viaggio dura un’ora, sempre che non vi troviate davanti un carretto trainato da un vecchio ronzino! Il costo, andata e ritorno è di 1000 lek.
A Kruja si può visitare il museo di Skanderbeg, il castello (di cui non rimane molto di più delle mura e di una torre) ed il bazar turco, uno dei meglio conservati, simile a quello di Mostar in Bosnia Erzegovina, in cui si possono comprare souvenir per tutti i gusti e le tasche, compreso il brandy Konjak Skënderbeu, insospettabilmente buono. Il panorama che si vede dal castello, inoltre, è splendido e nelle giornate chiare si può vedere perfino il mare.
Appunto per birdwatchers: sulla rocca di Kruja si possono ammirare centinaia di rondini rossicce che volano sopra le teste dei turisti (in Italia ce ne saranno 100 coppie tra si e no).
Da Tirana siamo partiti per Korça prendendo un altro furgon in un’altra stazione (800 lek).

KORÇA (KORÇË)
Korça (pronunciato ‘Corcia’) è una città di montagna a 850 metri posta vicino al confine greco, il viaggio da Tirana dura quattro ore e mezzo ma presenta scorci interessanti soprattutto quando corre in vista del lago di Ocrida. A Korça si scende in mezzo ad un mercato dall’aspetto molto zingaresco in cui si può acquistare veramente tutto compreso bestiame vivo di vario tipo. Ci sono due alberghi a buon mercato nella piazza principale, uno accanto all’altro e sono quasi immutati dai tempi della dittatura di Enver Hoxha. Noi siamo stati all’Hotel Koçibelli, nel cui ristorante abbiamo assaggiato il vino più spaventosamente cattivo delle nostre onorate carriere. Il clima di Korça è freddo e soggetto ad improvvisi temporali, a noi è successo di passare nel giro di un quarto d’ora da un cielo azzurro con qualche rara nuvoletta solitaria ad un acquazzone di tipo equatoriale che in 2 minuti ha trasformato la strada in un torrente impetuoso. È assolutamente indispensabile un maglione.
In questa città abbiamo incontrato persone piacevolissime tra cui un barista, che ci è rimasto nel cuore, che alla nostra richiesta di informazioni per ritornare all’hotel ci ha caricati in macchina (Mercedes) e ci ha accompagnati rifiutando poi quasi offeso il denaro che gli offrivamo. Questa è l’ospitalità albanese, che varrebbe da sola un viaggio in questo paese.
Altro incontro gradevole, sul taxi collettivo che ci ha portato a Korça è stato con la signora Adelina e sua figlia Jona, che vive in Italia e parla benissimo la nostra lingua. Con loro abbiamo consumato il pranzo in un’osteria lungo la strada e abbiamo scambiato mille chiacchiere.
A Korça invece non abbiamo trovato nessuno che parlasse italiano e pochissimi inglese, in compenso molti sanno il greco, lingua di poco aiuto nel nostro caso.
A Korça ci sono da vedere alcuni musei (tra cui quello dell’istruzione ed uno nientemeno che di arte asiatica) e l’enorme nuova cattedrale ortodossa, comunque la città è piacevole, si vanta di essere la più progredita del paese e, in effetti, la guida degli abitanti è meno scriteriata che in altri luoghi.
Fare una passeggiata lungo le sue vie alberate in cui tira sempre un fresco venticello è anche un ottimo antidoto al caldo sofferto a Tirana! Comunque le vere attrattive di questa zona si trovano a breve distanza dalla città. Innanzi tutto la chiesa di Mborja, che è un sobborgo di Korça, anonima fuori ma splendidamente affrescata (affreschi datati al XII secolo) all’interno, che si può raggiungere in taxi. Al di fuori stazionano sempre dei personaggi che probabilmente riusciranno a scroccarvi qualche lek. Non si è capito, però, se ci sia un custode e se sia previsto un biglietto d’ingresso. D?altra parte si
tratta di pochi centesimi. Si può chiedere al tassista di aspettare (la visita dura pochi minuti) o optare per un ritorno a piedi, fattibilissimo anche perché a metà strada c’è la fabbrica dell’ottima birra Korça dove si può degustare un boccale (60 lek, addirittura 45 centesimi di euro) e mangiare qualcosa.
L’altra escursione, a Voskopoja, ci sentiamo di consigliarla solo agli intimi della Transamazzonica o a chi si sia fatto Oslo-Bombay in autostop, a parte gli scherzi si tratta di un’escursione che può essere davvero avventurosa. Il tutto inizia da un furgon (il cui biglietto costa 200 lek) in una parallela alla via del mercato che vi porta, attraverso una strada che definire sterrata è decisamente un eufemismo, per 26 km di curve interminabili fino a questo sperduto villaggio posto a più di 1100 metri di altitudine (maglione necessario anche di giorno). Quando siamo arrivati siamo stati accolti da alcuni personaggi armati di fucile che ci hanno leggermente inquietati (ma erano solo cacciatori) e subito dopo siamo stati alluvionati da un temporale al cui confronto quello di Korça era una dolce pioggerellina primaverile. Per fortuna abbiamo trovato rifugio nella Taverna Voskopoja le cui porzioni di agnello arrosto ed il cui ottimo vino rosso (il miglior vino assaggiato in Albania)ci hanno restituito una buona fetta del perduto ottimismo. Mentre mangiavamo, magia!, abbiamo sentito parlare italiano, in effetti c’era un’intera famiglia milanese che pranzava allegramente con i loro vicini di casa (in Italia) albanesi, al cui paese erano venuti a trascorrere le vacanze. Qua cucinano l’agnello tutto intero sulla brace a fuoco lentissimo, il che lo rende tenero a tal punto da sembrare lesso, e molto saporito.
Usciti dalla trattoria abbiamo visitato il villaggio, che è decisamente cadente e in buona parte disabitato e in rovina ma che ospita alcune chiese affrescate molto belle e numerose vestigia della passata potenza di quella che è stata la più grande città dei Balcani.
Il problema che ci si è presentato è stato il ritorno, nessuno parlava nessuna lingua a noi nota ma solo albanese, greco e valacco (una lingua neolatina simile al rumeno) per cui è stato difficilissimo capire quando e da dove partiva il furgon di ritorno. Inoltre diverse persone aspettavano di andare a Korça per cui rischiavamo di restare fuori (i furgon hanno solo 6 posti) e una notte all’addiaccio sulle vette delle Alpi Dinariche era una prospettiva che non ci allettava per niente! A quel punto un baffuto signore ci ha fatto capire che, se avevamo bisogno di un taxi, ce ne sarebbe stato uno disponibile. Un taxi tra queste sperdute montagne? ci siamo chiesti. Si, il taxi era la macchina privata del tipo baffuto (Mercedes degli anni 70) che, in cambio di 1000 lek, ci ha portato proprio di fronte all’albergo. Abbiamo rischiato la vita non più di 5 o 6 volte durante il ritorno, quasi un record
A questo punto devo parlare delle Mercedes. Parrà singolare che in un paese che non è propriamente lo specchio del benessere economico, sia questa la marca di automobili più diffusa. E invece è proprio così, se ne incontrano a centinaia, nuove (pochissime) e vecchie, alcune tenute benissimo, le più cadenti e rappezzate con una certa creatività. Il motivo di questa diffusione delle ammiraglie tedesche non siamo riusciti a saperlo ma dubitiamo seriamente, come dicono nei paesi vicini, siano tutte rubate nei paesi più ricchi. Anche solo perché sono troppe.
Vogliamo qui sottolineare come non abbiamo mai incontrato persone meno che piacevoli e non abbiamo mai, e ripeto mai, avuto brutti incontri, situazioni equivoche o anche solo il sospetto che qualcuno volesse derubarci o aggredirci.
Dopo questo viaggio siamo ancora più convinti che tutti i brutti pregiudizi che riguardano questa gente siano, appunto, solo pregiudizi.
Da Korça ci siamo diretti verso Ohrid ed il suo splendido lago, in territorio macedone.

OCRIDA (OHRID in macedone o OHËR in albanese)
Non ci sono collegamenti diretti tra Albania e Macedonia. L’autobus da Korça per Pogradeci vi lascerà al bivio per Tushëmishti, da cui dovrete prendere un taxi per il posto di confine (5 la corsa). Lì sbrigherete le solite rapide formalità doganali, entrerete nella terra di nessuno dove, a piedi, raggiungerete il posto di blocco macedone. Lì la fermata è stata un po’ più lunga ma ci hanno lasciato entrare in Macedonia senza problemi. Il fatto è che appena superato il confine ci si ritrova in una landa desolata senza traccia alcuna di civiltà, noi abbiamo dovuto camminare un buon chilometro sotto il sole e con gli zaini affardellati prima di essere superati da un taxi che ci ha portato a Ohrid pagando il prezzo di un biglietto di autobus urbano.
Le guide consigliano di raggiungere a piedi il monastero di Sveti Naum, vicinissimo al confine e dove fermano taxi ed autobus. A noi non è sembrato tanto vicino.
Ad Ohrid ci siamo fatti lasciare nei pressi dell’agenzia turistica General Turist dove ci hanno trovato, in tempi rapidissimi un’ampia camera con balcone presso due signori molto simpatici che parlavano inglese e che affermavano che la loro era ‘the best accomodation in town’ cosa che non stentiamo a credere visto che aveva una vista stupenda del lago ed era a due passi dalla via principale. Il tutto ad una trentina di euro al giorno, ma si può trovare qualche camera più spartana anche a prezzi più economici.
La città di Ohrid è molto bella ed è piena di cose da vedere: chiese, tantissime, un anfiteatro romano, il castello di Car Samoil, le case tipiche di legno imbiancate a calce, lo stupendo lago. Tra tutte le chiese spicca Sveti Jovan Kaneo, la più classica delle cartoline di Ohrid, posta su una rupe a picco sul lago. Impossibile non scattarne almeno 10 foto.
È opportuno impararsi i caratteri dell’alfabeto cirillico, di solito le indicazioni più importanti sono scritte anche in inglese, ma non sempre.
Il lago sembra un mare, è sempre agitato da piccole onde e ci sono calette e spiagge da far invidia al Mediterraneo. L’acqua ha una trasparenza assoluta ed invita a fare un tuffo; purtroppo però è sempre piuttosto fredda cosicché noi italiani abbiamo bisogno di un lungo periodo di acclimatazione mentre gli autoctoni, anche bambini, si buttano come se niente fosse.
Nel lago vive una trota unica al mondo, la Salmo letnica detta letnica in macedone e koran in albanese. La sua pesca è illegale e viene talvolta venduta a prezzi esorbitanti in alcuni ristoranti e pescherie. Oltre che dannoso per una specie ai limiti dell’estinzione, mangiare questa trota è illegale, sia in Macedonia che in Italia. Le trote comuni sono altrettanto buone (e molto più a buon mercato).
Quasi tutte le sere e spesso anche a pranzo, siamo stati al ristorante Neim, in fondo alla strada pedonale, un locale alla buona frequentato da gente del posto (ma c’è anche un menù in inglese). Le specialità che abbiamo assaggiato sono la moussaka (patate e melanzane con carne trita), i polneti piperki (peperoni ripieni), il gulash con fagioli, il kebapci (simile al cevapcici di Sarajevo), il tutto sempre servito con la opska salata, insalata mista di pomodori e, ahimè, cetrioli, con una bella manciata di formaggio sopra. Una sera abbiamo preso una bottiglia, piuttosto cara, di Tga za Jug (significa ‘Nostalgia del Sud’, bello, vero?), un vino rosso decisamente buono e piuttosto gagliardo. La bevanda più comune è la Skopsko pivo un’ottima birra che troverete dovunque. Al ristorante Neim i prezzi sono davvero bassi, quasi a livelli albanesi; questo posto ci ha incantati perché è un locale autenticamente macedone in una città che, tutto sommato, è molto turistica.
Una costante dei nostri giorni ad Ohrid è stata la colazione nelle pekara, ovvero le panetterie che vendono squisiti burek ed altri involtini di pasta sfoglia ripieni di salumi o formaggio. Ce ne sono anche dolci. Da bere l’ottimo yogurt Bitolska, veramente squisito come quello turco, di cui i macedoni si scolano almeno mezzo litro ogni mattina. Un toccasana se vi hanno assalito i disturbi intestinali.
Una sera ci siamo concessi il pesce di lago, ci sono diversi ristoranti sulla piazza in fondo alla via pedonale, ma non è a buon mercato (forse in qualche ristorantino più nascosto i prezzi sono più bassi).
Dato che sono un fissato delle scienze naturali abbiamo affrontato la nostra unica escursione da Ohrid per andare a Struga, un paese nel nord del lago, nella zona a maggioranza albanese, dove si trova un museo di storia naturale.
Struga è una cittadina senza nulla da vedere, piuttosto turistica e, in definitiva, brutta. Sembrava che nessuno sapesse dov’era il museo, abbiamo chiesto ad un vecchietto, che non sapeva neanche lui dove fosse, e questi chiedendo a giro, è riuscito a portarci dove volevamo. Inutile dire che ha rifiutato i soldi che gli abbiamo offerto per l’aiuto. Il museo è in un edificio piuttosto fatiscente, con davanti una strada sterrata, dentro è abbastanza interessante, vi sono animali impagliati di molte specie (anche lupi, orsi, aquile). Per andare abbiamo preso un taxi abusivo (ovvero un signore su una vecchia Zastava che fermava alle fermate dell’autobus, il viaggio è costato veramente una miseria), e così anche per il ritorno.
Pare che comunque esistano anche mezzi regolari tra Ohrid e Struga ma noi non li abbiamo trovati.
Alla fine è venuto il giorno del ritorno, abbiamo salutato i nostri affittacamere ed abbiamo fatto il viaggio inverso, alla dogana ci hanno chiesto il karton che ci aveva consegnato il nostro padrone di casa dopo averci registrato. Il viaggio, seppur lunghissimo, si è svolto senza problemi, in taxi dal confine a Pogradec, poi in furgon fino a Elbasan e da lì, con un altro taxi collettivo, fino a Durazzo, dove ci siamo imbarcati alla volta di Bari.
A Bari siamo stati spennati dal taxista che ci ha accompagnato dal porto alla stazione dei treni ed abbiamo capito che eravamo tornati a casa.

Massi ed Erika

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