Colori e sapori di Antigua

Spiagge d’incanto, ottima cucina, gente spensierata… che cosa chiedere di più a una vacanza?

Uno dei luoghi comuni in cui ci si imbatte parlando di Antigua è il mare, la sabbia bianca, le 365 spiagge “una per ogni giorno dell’anno” come pubblicizza qualsiasi depliant turistico.
Ed è tutto vero.
Il luogo non comune in cui invece ci si imbatte ad Antigua è la cucina, una piacevole sorpresa.
Sempre noi. Francesca, Alessandro, Catia ed io per il 9° anno consecutivo condividiamo le vacanze agostane stavolta alla ricerca di una destinazione esotica e riposante.
Parlerò sì dei luoghi visitati e delle esperienze fatte ma mi soffermerò un po’ anche sugli aspetti culinari e sulla qualità dei ristoranti, una parte della vacanza che ha rivestito un ruolo di non secondaria importanza.Partiamo il 9 agosto 2007 da Malpensa. Subito un doveroso ringraziamento a un ristorante. Arrivati con un certo anticipo in zona aeroporto ci siamo detti: approfittiamo di un ultimo pasto “italiano”, per niente fiduciosi (sbagliando) in ciò che ci avrebbe atteso a destinazione.
Siamo a Somma Lombardo, sono le 11,30 e ovviamente i ristoranti sono ancora chiusi. Proviamo quindi all’Uva Tardiva (ci ispirava il nome…) spiegando loro che abbiamo il check in nel primo pomeriggio e di conseguenza, o mangiamo ora o mai più. Molto gentilmente aprono per noi il ristorante e ci rimpinguiamo con una splendida tagliata alla rucola innaffiata da Barolo e per finire caffè e grappino. Niente male per essere le 11,30! Rifornimento fatto. Possiamo partire.
Il volo diretto Milano - St.John’s dura 8 ore e 45 minuti, un charter della Livingston (ex Lauda Air) naturalmente in ritardo. Arriviamo alle 23 ora locale (-6 ore rispetto all’Italia).
Alloggiamo al Rex Halcyon Cove sulla Dickenson Bay, non molto distante da St.John’s. Abbiamo scelto la soluzione solo pernottamento per essere più liberi durante la giornata.
L’hotel è bello, camere ampie e confortevoli, aria condizionata, terrazzo con vista sul giardino e uno scorcio di mare. E’ posizionato direttamente sulla bella e rinomata spiaggia di Dickenson Bay, mare stupendo, siamo nel nord ovest dell’isola.
La clientela è quasi esclusivamente inglese, italiani pochissimi.

Alle 6 di mattina, causa fuso orario, siamo già in piedi, passiamo la giornata in spiaggia a riprenderci dalle “fatiche” del viaggio.
La sera decidiamo di dare una prima occhiata alla città, la capitale St.John’s.
In una decina di minuti di taxi (tariffa fissa US$ 12) ci siamo.
La moneta legale di Antigua è l’East Caribbean Dollar (EC$), ne occorrono 2,65 per formare un US$, ma dovunque vengono accettati sia l’uno che l’altro, anzi i negozianti sul conto indicano sempre le due valute. Per noi europei il cambio euro/dollaro, attualmente 1,35 è molto favorevole.
Circa la metà dell’intera popolazione di Antigua, che è 70.000 abitanti, vive a St.John’s mentre a Barbuda risiedono solamente in 1.500.
Subito le prime impressioni arrivati in città: innanzitutto tantissime banche, Antigua rappresenta uno dei famosi paradisi fiscali, musica, soprattutto reggae un po’ dappertutto, pochissima polizia in giro, molte auto di grossa taglia, qui non se la passano male.
Gli abitanti, tutti di colore, sono di grossa stazza, per la maggior parte alti e corpulenti, dovuto sicuramente all’alimentazione decisamente all’americana, hot dog, hamburger, patatine fritte, ketchup ecc. Molti rasta.
St. John’s è un piccolo spaccato di Inghilterra ai Caraibi. Antigua dal 1600 è sotto il dominio inglese fino al raggiungimento dell’indipendenza nel 1981 come Stato sovrano di Antigua e Barbuda.
Ma la cosa che colpisce di più è l’orario dei negozi. Qui alle 17 come si usa dire cade la penna di mano… chiude tutto, e non solo ora che non è alta stagione ma, ci hanno detto, è sempre così. Solo i ristoranti (e non tutti) rimangono aperti alcuni fino… udite udite… alle 23 (!).
Dal taxista ci siamo fatti portare a un ristorante consigliato da lui, così abbiamo conosciuto l’Hemingway in Redcliffe Street, in pieno centro città.
L’Hemingway si è in seguito rivelato uno dei migliori ristoranti. E’ situato al secondo piano di una bella costruzione coloniale, molto carino, si mangia in una terrazza che si affaccia sulla strada.
E’ lì che abbiamo gustato le prime aragoste della vacanza, il crostaceo che va per la maggiore nell’isola ed è veramente prelibato.
I piatti sono presentati al completo cioè l’aragosta insieme alle verdure scelte e alle salse che volendo ci si fanno portare a parte. Assaggiati anche i roti, dei rotolini ripieni di patate, pollo o manzo che ricordano un po’ gli involtini primavera cinesi, e gustato un delizioso filetto di manzo alla griglia veramente ottimo.
La spesa, 65 US$ a testa (ma praticamente solo 48 €) può sembrare alta ma vanno considerate due bottiglie di Pinot Grigio e per finire dell’ottimo Remy Martin… non ci facciamo mancare niente!
Come prima cena, davvero un buon inizio.
Caratteristica dell’isola è l’uso delle spezie che oggi vi crescono spontaneamente, l’importante, se i sapori forti disturbano, è farsele portare separate ma provate ugualmente ad assaggiarle, tra tutte il curry sicuramente tra le più utilizzate.
Anche la verdura è sempre presente e di qualità, insalata lattuga, pomodori, cetrioli, fagiolini, patate, purtroppo si sente la mancanza del nostro buon olio d’oliva ma va bene lo stesso.
Per non parlare della frutta, immancabile e abbondante, dall’ananas al cocco, dalle banane al mango, papaia, arance verdi, frutto della passione, guava.

Il giorno dopo ci svegliamo con una bella giornata di sole. Catia ed io anche oggi ci alziamo presto e anche se dall’Italia ci siamo portati l’irrinunciabile caffettiera elettrica che tutte le mattine ci scambiamo dal terrazzo con Francesca e Alessandro a seconda di chi si sveglia prima (sempre noi!) decidiamo di andare a far colazione presso uno dei ristoranti dell’hotel, il Warri Pier al quale si accede da un pontile sul mare.
Ebbene, scopriamo che anche lì vige la regola di Antigua: chiusura presto, apertura tardi, alle 8,30 era ancora tutto chiuso, ecco perché gli antiguani non conoscono lo stress!
La giornata scorre in spiaggia tra un tuffo nell’acqua davvero cristallina e la lettura di un buon libro.
Notiamo con soddisfazione che non ci sono i vari mosquitos, zanzare ecc. che ci avevano fatto dannare in altri viaggi, ci eravamo premuniti dei vari Autan e Off ma tutto sommato non sono serviti.
Per cena chiamiamo un taxi e ci facciamo riaccompagnare in città.
Stasera è la volta del Big Banana, sempre in Redcliffe Street.
E’ un locale più semplice, frequentato principalmente dalla gente del posto, gli unici bianchi ai tavoli eravamo noi quattro e una coppia di Padova che abbiamo incrociato più volte durante la vacanza… l’isola è piccola!
Pizza e birre per una modica spesa.
Le birre di Antigua sono la Carib e la Wadadli, si trovano poi la Presidente (dominicana) e la Red Stripes (jamaicana) oltre alla sempre presente Heineken.
C’è da dire che sull’isola vige una ben radicata cultura anti-fumo (almeno per le sigarette canoniche…) ed è assolutamente vietato fumare come in Italia nei luoghi chiusi, ma non solo, anche nella hall dell’albergo per esempio, anche se è semi-aperta.
Ad Antigua si parla esclusivamente inglese e per di più in maniera dialettale, strascicata il che ha significato per noi di inglese scolastico, una certa difficoltà nel capire quello che ci veniva detto. Gli antiguani Antigua la chiamano Antiga e Barbuda… Bàrbiuda con un marcato accento sulla prima A che mi sa tanto di Stanlio e Ollio.

Anche il giorno dopo è una bella giornata di sole e decidiamo di noleggiare un’auto per una settimana. Ci viene assegnata una Toyota Rav 4 al costo di US$ 63 il giorno compresa l’assicurazione Kasko, per la patente invece basta mostrare la patente italiana e sborsare 20 US$ per ottenere un permesso temporaneo (3 mesi) di guida sull’isola.
Ad Antigua la guida è a sinistra con il volante a destra. All’inizio ci si trova un po’ spaesati, specialmente agli incroci o alle rotatorie o nel calcolare la distanza con il bordo sinistro della carreggiata, ma poi ci si fa presto l’abitudine.
St.John’s si trova a nord ovest dell’isola e decidiamo di percorrere la costa in direzione sud, si tenga però presente che sto parlando di tragitti brevi visto che da nord a sud o da ovest a est non si percorrono più di 30 km, a meno che non si sbagli strada, il che non è poi così improbabile, lo spiegherò dopo.
Le prime spiagge che vediamo sono Hawksbill Bay e Galley Bay e subito ci rendiamo conto della bellezza del mare.
Poi continuando superiamo Jolly Harbour e troviamo un trittico di spiagge,a parer mio, tra le migliori dell’intera isola, Ffryes Bay, Darkwood Beach e Johnson’s Point.
Oggi ci fermiamo a Darkwood, sabbia bianchissima, mare turchese, spiaggia attrezzata, i lettini costano 5 US$ l’uno. E’ un mare che ti attira continuamente, tanto è bello.
Dalla spiaggia si vede in lontananza (40 miglia) Montserrat, l’isola, l’esplosione del cui vulcano il 18 luglio 1995 sconvolse letteralmente la popolazione che ci viveva. Erano 400 anni che il vulcano Soufriere Hills era inattivo poi improvvisamente l’esplosione. Plymouth, il capoluogo, si ritrovò coperto di cenere, ricordo ancora i servizi televisivi, uomini e animali completamente bianchi, strade bianche, una spessa coltre di cenere dappertutto, un paesaggio deturpato. Plymouth è ormai una città fantasma. Nel giugno 1997, appena due anni dopo, il colpo di grazia, altra eruzione che spazzò via il poco che era rimasto.
Oggi piano piano Montserrat si sta riprendendo, il turismo del tutto scomparso, sta con cautela rinascendo. Pensate che a tutt’oggi per chi si reca sull’isola è consigliato di portarsi mascherine anti-polvere e mantenere le radio sintonizzate sull’emittente ZJB per non rischiare di non ascoltare eventuali avvisi di emergenza.
Gli abitanti di Montserrat, dagli 11.000 che erano, oggi non arrivano a 4.000.
Pensare che da questa stessa spiaggia qualcuno con i propri occhi appena 12 anni fa vide la terribile esplosione è sicuramente una sensazione strana.
Dopo una prima scorpacciata di sole e di mare ci meritiamo una bella cena e provvisti della nostra auto ci immergiamo nelle stradine di St.John’s che a poco a poco stanno diventando sempre più familiari.
Stasera tocca al Commisioner Grill tanto per cambiare in Redcliffe Street.
Anche al Commissioner si mangia bene e ci torneremo in seguito. Il locale è meno elegante dell’Hemingway ma possiede un reparto cucina a vista pulito e senza odori.
Le mogli si affidano all’aragosta e noi alla bistecca di manzo con patatine, il tutto innaffiato da uno Chardonnay australiano niente male. I crostacei sono sempre ottimi e la carne, tenera, è cotta esattamente come richiesto.
L’unica pecca è il caffè ma questo lo sapevamo, è per questo che ci siamo portati la moka elettrica da casa.
Una particolarità dei camerieri ad Antigua è che sono loro a metterti il tovagliolo sulle ginocchia. La prima volta successe che la cameriera si avvicinò al tavolo, prese il mio tovagliolo e mi fece cenno di scostarmi un po’. Lì per lì mi chiesi “Ma cosa vuole?” poi spostandomi un pochino mi mette il tovagliolo sulle cosce e da lì capimmo come funziona.

Siamo a lunedì, anche oggi è una bella giornata. Decidiamo di andare a vedere una delle spiagge vicine a quella di ieri. La strada da fare è la solita, tanto per cambiare.
Ad Antigua ci sono tre arterie principali che partono da St.John’s, una che si dirige verso sud fino ad arrivare a English Harbour, una verso est e una verso sud ovest, quella che percorriamo oggi.
L’isola è verdissima, ci sono collinette completamente coperte da vegetazione più che altro tipica delle foreste pluviali, palme, bambù giganti, alberi della gomma e del pane, liane.
A metà strada troviamo un’interruzione per lavori, dove andiamo?, una stradina laterale c’è ma chissà dove porta. Ci fermiamo e chiediamo agli operai come arrivare alle spiagge. Incredibile, dopo un breve consulto tra loro cosa fanno? semplice, spostano le ruspe! Ebbene sì, spostano tutte le macchine, si mettono personalmente davanti alle buche e ci fanno passare dall’unico spazio possibile rimasto. Davvero da non credere!
E’ la volta della spiaggia di Johnson’s Point. A parer nostro la più bella. Ampia, ventosa quanto basta, un’acqua dalle sfumature che vanno dal turchese al verde all’azzurro. Senza parole. Anche il ristorantino sulla spiaggia, il Turner’s guidato da un’anziana burbera ma simpatica, non è niente male.
Per la sera invece ce ne torniamo in città a provare il Rasta Pasta. E’ un angolo d’Italia ad Antigua, rilevato da poco da un bolognese. E’ li che abbiamo mangiato davvero all’italiana, spaghetti alla carbonara (De Cecco), salumi, non credevamo ai nostri occhi, prosciutto e formaggi, dal parmigiano al gorgonzola, volendo c’è anche la pizza. Caffè molto vicino al nostro espresso, avremmo provato anche la grappa ma ancora non era arrivata la licenza per i superalcolici, spesa modesta, 25 US$ a testa, il locale è molto semplice, ricorda quasi una posada messicana.
La giornata la terminiamo come tutte le sere ai tavolini del bar della spiaggia dell’hotel per il nostro personalissimo torneo di conchino, una variante toscana del ramino.

La meta di domani è la English Harbour, la parte più meridionale dell’isola.
Il nostro errore è quello di percorrere una strada alternativa prima di immetterci nella All Saints Road, l’arteria che ti porta a sud.
Perché è bene sapere che ad Antigua non ci sono indicazioni stradali, o meglio, all’interno di St.John’s ci sono sì i nomi delle vie, ma se uno vuole uscire dalla città non esiste una cartellonistica che ti indichi: vuoi andare a sud? Prendi questa strada, vuoi andare a nord? Prendi quest’altra.
E’ come se trovandosi alla periferia di una qualunque nostra città non ci fossero indicazioni per andare, che so, verso l’autostrada, o verso l’aeroporto o verso il centro cittadino. Come ci si orienta, con il sole? D’accordo che St.John’s è tutt’altro che una metropoli ma senza indicazioni è difficile lo stesso, come quando sei a un incrocio o a un bivio in piena campagna: nulla! Si va a intuito.
….e infatti il nostro intuito ci ha portati all’esatto contrario di dove volevamo andare: ci ritroviamo nel nord dell’isola. Va be’, è un’occasione per passare da un posto che con ogni probabilità non avremmo visitato.
La parte nord dell’isola si potrebbe definire la “zona residenziale” o “i quartieri bene”. Essendo molto più esposta ai venti è carente di spiagge, almeno come le intendiamo noi, in compenso è il regno dei surfisti.
Non c’è affollamento di hotel e resort ma quelli che ci sono hanno tutta l’aria di essere di gran lusso e inoltre ci sono ville disseminate qua e là.
Dopo aver percorso tutta la strada costiera, compresa una base americana con delle antenne paraboliche gigantesche, praticamente ci ritroviamo di nuovo a St.John’s.
Per non sbagliare di nuovo ci immettiamo sulla solita strada costiera ad ovest che ormai conosciamo come le nostre tasche. Superiamo il trittico di spiagge spettacolari già descritte e ne troviamo un’altra. D’obbligo una sosta per le foto.
Carlisle Bay. La scena è molto bella, da un lato una mandria di mucche al pascolo con sullo sfondo le verdissime alture, dall’altro una mezza luna di spiaggia bianca immersa nelle palme con il solito mare spettacolare.
Ripartiti, la strada devia verso l’interno, inizia la Fig Tree Drive, dieci chilometri di strada tortuosa completamente immersa nella foresta pluviale di Antigua. In un attimo ci si ritrova dalla spiaggia tropicale alla giungla, fino a ritrovare il mare della famosa English Harbour, la grande baia all’estremo sud dell’isola.
Questo è l’approdo principale, insieme a St.John’s, delle grandi navi da crociera e degli yacht provenienti un po’ da tutte le parti del mondo. Inoltre la baia è famosa per ospitare il Nelson’s Dockyard, la base navale dell’ammiraglio Nelson all’epoca della canna da zucchero, un arsenale perfettamente conservato che mantiene tuttora il fascino dell’epoca. Da segnalare la collina limitrofa chiamata Shirley Heights situata in una posizione particolarmente felice, da cui godere di un magnifico panorama dell’intera insenatura, e, quando il cielo è limpido, anche in lontananza dell’isola di Guadalupa.
La sera a cena ce ne torniamo al Commissioner Grill dove, con la solita spesa di 50 US$ ci sgrifiamo aragosta (Francesca), mix grilled di carne (Alessandro), mix seafood grilled (Catia) ed io un bel piatto di tagliatelle ai gamberetti, forse un po’ troppo ricche di panna ma ugualmente buone. Vino australiano, caffè (?!), ne prendiamo sempre due in quattro, ed è troppo lo stesso perché tanto ti portano un bicchierone colmo, e rum Cavalier per finire.

Il giorno di Ferragosto è una giornata di acquazzoni alternati al sole.
Ormai ci abbiamo fatto l’abitudine, tutti i giorni, anche quelli di pieno sole, passa all’improvviso una nuvoletta carica d’acqua, 5 minuti di pioggerella e poi di nuovo sole. Tipico a queste latitudini.
Oggi però il cielo è più cupo e quindi ci dedichiamo alla visita della capitale St.John’s. Per prima visitiamo la cattedrale, una bella chiesa baroccheggiante risalente al 1681 ma ricostruita nel 1847 a causa di un devastante terremoto. La caratteristica all’interno è che c’è per tutta la sua lunghezza un’ingabbiatura in legno realizzata allo scopo di proteggere l’intera struttura da eventuali disastri naturali.
Poi, sollecitati anche dalle mogli, ci dedichiamo alla zona commerciale per il tanto agognato shopping di cui erano in astinenza. In Heritage Quay, la zona commerciale di St.John’s adiacente al porto c’è di che sbizzarrirsi e le bancarelle di souvenir si alternano a gioiellerie, centri commerciali, negozi di abbigliamento con le griffe più famose.
Alessandro ed io invece ci rechiamo presso un baracchino del Ministero del Turismo per informarci come andare a Barbuda e prenotiamo quattro posti per il Barbuda Express di lunedì prossimo. La scelta di andarci tra 5 giorni è stata un po’ perché avevamo l’auto a noleggio fino a sabato e un po’ così per casualità. Scelta che poi si è rivelata azzeccata visto il passaggio dell’uragano Dean fra due giorni: ve ne parlerò.
Per pranzo andiamo al Cafè Napoleon in pieno centro di Heritage Quay. Il Cafè Napoleon è un bar-ristorante molto carino, un piccolo angolo francese ad Antigua. Nei tavolini esterni si possono gustare baguette con ripieno a scelta, croque monsieur, hot dog ma anche pesce e insalate varie, ed anche un caffè accettabile il tutto per una ventina di US$.
Quando l’astinenza dura troppo si rivela problematico anche il ritorno alla normalità. Così Catia e Francesca anche dopo pranzo non si sentono paghe dello shopping della mattina e sono pronte per un’altra battuta di caccia. Alessandro ed io stavolta diciamo di no ed andiamo a sederci a bere una birra presso un grande chiosco bar pieno di musica e monitor tv accesi. Non ci annoiamo per niente visto che trasmettono in diretta (causa fuso orario) tre partite del campionato di calcio inglese e ce le gustiamo in tranquillità.
Oggi è stata una giornata diversa dalle altre, visto il meteo, ma non meno interessante, abbiamo visitato la cittadina con tutti i suoi ingredienti, dalla frenesia della mattina (c’è traffico caotico anche lì) alla varietà dei suoi abitanti, dall’uomo d’affari al rasta che ascolta reggae sul marciapiede.
A cena andiamo da Papi’s una sorta di fast food, ma molto meglio, dove troviamo una cameriera pazientissima che ci traduce e spiega ogni singolo piatto. Mangiamo chi pollo, chi bistecca a 16 US$ a testa.

Anche l’indomani, giovedì, il tempo non convince. Ogni tanto sbuca il sole tra la coltre di nuvole ed in più è molto ventoso, e la giornata non promette affatto bene.
Ovviamente non possiamo rimanere in hotel e ci dirigiamo ugualmente verso Ffryes Beach, la spiaggia del trittico famoso che si incontra per prima.
L’impatto visivo è sempre e comunque notevole, non ci si abitua mai.
La spiaggia, seppur non attrezzata, è amplissima, disegna una curva lunga circa un chilometro. Stiamo tutto il giorno lì nonostante la giornata particolarmente ventosa.
All’ora di pranzo ci rechiamo nell’unico ristorante del posto. E’ situato su una piccola collinetta-promontorio, una collocazione direi perfetta dal punto di vista turistico. Da lì, guardando il mare, siamo nel mezzo a due tra le più belle spiagge dell’isola, a sinistra Ffryes dove siamo noi, a destra tutto il complesso del Jolly Harbour. Dennis, il proprietario, che dà il nome al locale, è un personaggio, la sua foto è su tutti i food-depliants dell’isola e si vede che è ben ammanicato, dopo un po’ arrivano cinque o sei jeep che scaricano una mandria di turisti affamati che stanno partecipando al jeep-safari. Non è un locale di lusso, tutt’altro, ma è già sufficientemente famoso per attirare clientela.
Verso la fine del pomeriggio ci rimettiamo in macchina per tornare all’hotel, in lontananza vediamo grosse e dense nubi nere che non promettono niente di buono.
Durante il tragitto incontriamo molte chiese, questa è infatti una costante dell’isola. Gli antiguani sono molto religiosi, lo abbiamo notato domenica scorsa quando fuori da ogni chiesa notavamo gente elegantissima, sembravano tutti al matrimonio! E poi ci sono chiese di ogni tipo, disseminate ovunque, anglicane, pentecostali, battiste, avventiste del 7° giorno e così via.
La sera a cena non potevamo non tornare all’Hemingway il ristorante della prima sera. Lì una cena di ottima qualità è sempre assicurata, che sia aragosta o carne, il livello è comunque alto.

Tanto tuonò che piovve. Dopo due giorni così così e le nubi nere di ieri sera eccoci alla pioggia, la pioggia con la P maiuscola. Non sono assolutamente superstizioso ma guarda caso oggi è venerdì 17…
Se nei giorni scorsi comunque la giornata di mare eravamo riusciti a farcela, oggi proprio non c’è speranza!
Prendiamo la macchina e ce ne torniamo a St.John’s. A tratti la pioggia è talmente forte che non possiamo aprire neanche un piccolo spiraglio del finestrino che ci inzupperemmo tutti. Impensabile quindi fare due passi per la città.
Che facciamo? Un’idea, ci hanno tutti parlato un gran bene del mercato cittadino, assolutamente da vedere, e peraltro è al coperto. Ok, deviazione verso Market Street. Il traffico stamattina è particolarmente caotico, formato quasi esclusivamente da auto giapponesi e coreane, e trovare un parcheggio libero è difficoltoso anche a St.John’s, ma la fortuna è dalla nostra parte, individuiamo un posto libero proprio nelle vicinanze del mercato e ci piombiamo al volo.
Qualche minuto di attesa perché la pioggia diventi da fortissima a forte e via di corsa al coperto. Siamo fradici lo stesso ma almeno possiamo gustarci questo spettacolo della natura senza bagnarci ulteriormente.
Il mercato è davvero da vedere, un’esplosione di colori con tutta quella frutta e verdura in esposizione. Alcuni banchi sono allestiti quasi in maniera artistica tanto è ordinata la merce esposta, un collage di colori che non possiamo non fotografare.
Consumiamo il pranzo di nuovo al Cafè Napoleon e di pomeriggio ce ne torniamo all’hotel. E’ lì che abbiamo saputo dell’uragano Dean che si sta abbattendo in questi giorni in Repubblica Dominicana e Jamaica facendo anche alcuni morti e che Antigua è stata solo sfiorata dalla coda. Praticamente la pioggia e il vento di oggi sono niente in confronto. All’hotel c’è stata anche una grossa mareggiata che ha coperto completamente la spiaggia.
Iniziano i primi tentennamenti soprattutto di Francesca sull’opportunità o meno di mettersi in mare fra tre giorni per coprire le 40 miglia che ci separano da Barbuda. Boh, vedremo.
La sera ceniamo italiano dal nostro amico bolognese del Rasta Pasta.
Ai Caraibi la furia degli elementi è talvolta tanto potente quanto veloce e infatti il giorno dopo ritroviamo il sole.
Nel frattempo abbiamo saputo che Dean si sta spostando verso lo Yucatan dopo aver fatto parecchi danni in Jamaica tanto da dover chiudere per tre giorni l’aeroporto di Montego Bay, proprio quello sul quale dovremmo fare scalo al ritorno giovedì prossimo.
Boh, non pensiamoci, siamo ancora al sabato.

Oggi è l’ultimo giorno di noleggio auto e decidiamo di farci una bella girata nel sud e est dell’isola. Dalle cartoline ci ha attratto una spiaggia in particolare, quella di Mamora Bay, non lontano da English Harbour. La prima tappa è questa. Imbocchiamo stavolta senza problemi la All Saints Road e in un battibaleno ci ritroviamo nella costa sud. Dall’alto Mamora Bay è davvero spettacolare, una mezzaluna di sabbia bianca incassata in una vegetazione rigogliosa con un mare splendido.
C’è da dire che ad Antigua tutte le spiagge sono pubbliche, accessibili a tutti, anche quelle dei grandi resort turistici. Infatti lì sorge il St.James Club, una piccola cittadella di bungalow immersi nel verde. Una volta sul posto rimaniamo un po’ delusi, sai quando un luogo ti dà l’idea di finto, non naturale? Ecco questa è Mamora Bay. Ci rimaniamo fino a pranzo poi ripartiamo.
Percorriamo la strada costiera, superiamo altri scenari spettacolari come quello della Willoughby Bay per portarci in quella che in tutte le guide è ritenuta forse la più bella spiaggia di Antigua: Half Moon Bay.
Sono svariati i fattori che ti fanno piacere o meno un luogo senza contare naturalmente i gusti soggettivi. Ecco, Half Moon Bay è stata una delusione.
Sarà per il mare mosso (siamo sull’Oceano Atlantico, non sul Mar dei Caraibi) sarà per il vento forte e il cielo nuvoloso, sarà che di mezzelune sabbiose ne abbiamo viste ben altre, sarà per la spiaggia non ampia e un po’ ghiaiosa che non ci è apparsa niente di trascendentale, insomma per un insieme di fattori ci ha deluso. Qualche foto di rito e poi di nuovo in marcia verso l’obiettivo della giornata, lo scenario primordiale e selvaggio del Devil’s Bridge.
Prima di arrivarci beviamo una birra a Long Bay, un’altra spiaggia tanto rinomata quanto “normale” frequentata soprattutto da locali.
Alla fine eccoci arrivati: dopo aver percorso una strada dissestata che asfaltarla significherebbe quasi togliere il significato del posto, siamo finalmente giunti al Devil’s Bridge. L’atmosfera che si respira si addice completamente al luogo, qui non c’è spiaggia , sabbia bianca, mare turchese, qui c’è scoglio, terra dura, mare nero e agitato. La furia delle onde si infrange sugli scogli spruzzando chi ci passa vicino e poi c’è lui, il ponte naturale che la leggenda dice sia stato costruito dal diavolo.
Un ponte di pietra lungo una decina di metri attorno e sotto al quale si scatena incessantemente il mare. Sempre la leggenda dice che dal ponte dovrebbero essere gettate due uova, una se la tratterrebbe il diavolo che vive tra le acque ma una dovrebbe tornare a galla.
Una volta terminata la visita a questo luogo quanto meno sinistro ce ne ritorniamo nella realtà caraibica di Antigua imboccando la strada che ci riporta a St.John’s.
Durante il percorso passiamo da Betty’s Hope dove sorse nel 1674 la prima piantagione di canna da zucchero ad opera di Lord Codrington che la chiamò così in nome di sua figlia Betty. Oggi è rimasto un piccolissimo villaggio composto da qualche edificio in pietra, una distilleria, due mulini a vento, le cui pale, nei periodi di uragani come questo, vengono rimosse.
Continuando per St.John’s passiamo davanti allo stadio nazionale di cricket. Il cricket è lo sport nazionale di Antigua e di tutte le cosiddette Indie Occidentali cioè tutte le isole di questa zona a cultura anglosassone. In questo stadio si sono giocate nel marzo scorso alcune partite del campionato mondiale tenutosi proprio ai Caraibi e vinto dalla nazionale australiana che in finale ha battuto il Bangladesh.
Per cena abbiamo scoperto un signor ristorante. Alcune sere fa avevamo tentato di trovarlo ma senza esito, sempre a causa dei soliti problemi di mancanza di indicazioni stradali, oggi invece siamo partiti determinati e lo abbiamo trovato: Home Restaurant.
Il locale avrà una ventina di posti a sedere, non di più. Quando si arriva sembra di entrare in una di quelle case stile “Via col vento”, un vialetto di ghiaia, tre scalini, una veranda con la sedia a dondolo e poi se non fosse allestito a ristorante sembrerebbe di essere nella capanna dello zio Tom.
L’arredamento è elegante e di ispirazione esotica anche se alcuni dettagli richiamano all’Africa e anche all’Australia.
E poi c’è Carl Thomas, lo chef-proprietario, un omone di non meno di 150 kg che sorridente, ti fa accomodare al tavolo e ti mostra la lavagna con il menu scritto col gesso. L’apparecchiatura è impeccabile e anche il menu è adeguato a un ristorante di ottima categoria. Prendiamo tutti cose diverse, da una spettacolare zuppa a base di zucca, alla sempre prelibata aragosta cucinata alla griglia con una patata al cartoccio, petto d’anatra e i conch, le vongolone caraibiche dal guscio bianchissimo, due bottiglie di Chardonnay e per finire rum invecchiato 25 anni. 85 US$ a testa ma l’Home Restaurant entra di diritto al top della hit parade dei ristoranti di Antigua.
Con stasera termina la settimana di noleggio auto. Domani staremo nella spiaggia dell’hotel dedicandoci a nuotate, letture, e, non ci stanchiamo mai, a due ristoranti sulla spiaggia di cui ce ne hanno parlato un gran bene.

Oggi è domenica, il tempo volge finalmente di nuovo al bello fugando definitivamente ogni dubbio sulla traversata di domani verso Barbuda.
A pranzo andiamo a The Beach. Per raggiungerlo camminiamo sulla spiaggia per circa 500 metri, passando davanti alla spiaggia del colossale Sandals Resort, una mega struttura che a noi sicuramente non sarebbe piaciuta.
The Beach è un simpatico ristorante direttamente sulla spiaggia di Dickenson Bay, molto allegro, vivace, pieno di gente e di musica. Mentre la sera ceniamo 100 metri più avanti al Coconut Grove. Il locale, direttamente sul mare, è più sofisticato del precedente ma l’atmosfera che si respira, seduti a mangiare a luci soffuse in riva al mare è sicuramente attraente.
Ed eccoci arrivati al giorno di Barbuda.
Abbiamo scelto di fare il day tour. Al costo di 135 US$ a testa ti portano sull’isola, ti guidano al santuario delle fregate, poi alle grotte degli Arawak, pranzo e per finire su una spiaggia. L’altra soluzione è il fai da te a un costo sicuramente inferiore ma senza una guida dove vai?
La partenza del Barbuda Express è per le 8,30. Mentre siamo in attesa del traghetto, che poi è un catamarano cabinato, il cielo si rabbuia e arriva un potente acquazzone, ci guardiamo negli occhi come per dire: Mah, speriamo bene! Poi per fortuna torna il sole e non ci abbandonerà per tutto il giorno.
La traversata dura circa un’ora e mezzo e si balla non poco. Ci dicono che più fortunati di così non potevamo essere, il mare è calmo, ah! allora quando è mosso si vola!
Barbuda è talmente piatta che la si scorge solo pochi minuti prima di arrivare.
L’isola non è poi così piccola, è grande più della metà di Antigua, per dare un’idea l’isola d’Elba è 238 kmq, Antigua 280 e Barbuda 160.
Appena si arriva ci si rende subito conto di che posto sia, tutto è tranquillo, fermo, selvaggio, la civiltà qui è davvero lontana.
A Barbuda vivono non più di 1.500 abitanti e si dice che ci siano solo sei o sette cognomi visto che la quasi totalità è discendente direttamente o indirettamente dalla famiglia Codrington, quella per intendersi che fondò Betty’s Hope di cui ho parlato in precedenza.
Codrington è anche il nome della piccola capitale dell’isola.
Appena sbarcati saliamo su un pulmino dell’organizzazione, le strade sono quasi totalmente sterrate, quello che colpisce sono gli animali in totale libertà, asini, capre, mucche tutti liberi per strada, sui bordi, nei campi a pascolare, …bellissimo!
La prima tappa è il santuario delle fregate. Ci si arriva in motoscafo solcando le acque della grande laguna che sta in mezzo all’isola. Il santuario è un vero paradiso degli uccelli. Una volta arrivati, la guida spenge il motore ed in assoluto silenzio ci immergiamo nella realtà della laguna, i suoi rumori, il gracchiare delle fregate, i loro voli sopra le nostre teste. Per i birdwatchers il periodo ideale è da ottobre a febbraio quando migliaia e migliaia di questi grossi uccelli riempiono il cielo nella stagione degli amori.
Ci è stato spiegato che è affascinante assistere al rituale del corteggiamento, durante il quale il maschio gonfia la sacca rossa sotto il collo ripiegando la testa all’indietro in atteggiamento da macho, e le femmine che passano in rassegna dall’alto i maschi fino a sceglierne uno.
Le fregate sono uccelli marini ma che non catturano la preda tuffandosi, come per esempio pellicani e martin pescatori, non avendo le loro piume gli oli impermeabili di cui sono provviste altri uccelli acquatici. Dette anche aquile di mare, hanno sviluppato l’abitudine di attaccare gli altri uccelli marini in possesso di una preda senza dar loro tregua fino a indurli a mollare il boccone che verrà acchiappato al volo.
Terminata questa visita molto molto interessante, un’altra guida ci porta nell’estremo nord dell’isola alle grotte degli Arawak.
Gli Arawak sono stati i primi abitanti di Antigua e Barbuda circa 2000 anni fa. Essi erano una popolazione mite ma per sembrare aggressivi e spaventare eventuali invasori avevano l’abitudine di deformare le ossa del cranio dei bambini con delle piccole assi di legno fasciate sulla testa. Durante la crescita la testa assumeva una forma a punta, inoltre si rasavano completamente lasciando un solo ciuffo di capelli a spiovere sulla fronte.
La loro civiltà durò circa un millennio quando furono scacciati e sopraffatti dai ben più agguerriti Caribi.
Queste grotte sorgono sulla sommità di un promontorio, in un paesaggio affascinante in mezzo a una macchia di vegetazione molto fitta da un lato e un mare incantevole dall’altro. Ci si arrampica fra le rocce fino a spuntare in cima al promontorio da dove di gode di uno splendido panorama.
Dopo un frugale pasto presso un ristorantino della zona ci accompagnano infine a una spiaggia per un meritato bagno. Avevamo chiesto di portarci alle famose spiagge rosa ma non sappiamo il motivo, ci portano in una spiaggia vicina all’imbarco, così è stata un po’ una delusione. La spiaggia non era granchè ed il mare in quel punto neanche.
Alle 15,30 è già ora di imbarcarsi.
Bilancio dell’escursione a Barbuda: luci e ombre.
Senza dubbio l’isola è un paradiso naturale, non ci fossimo andati sarebbe rimasto il dubbio. Secondo me l’escursione è organizzata male innanzitutto per l’orario: dalle 8,30 si riparte alle 15,30 con un’ora e mezzo di mare all’andata e altrettanto al ritorno. E’ logico che fai tutto di fretta.
Sicuramente da fare il santuario delle fregate ma la visita alle grotte, per come è stata impostata non si è rivelata granchè. La guida ad esempio era un ragazzino che, sì, ci guidava ma poverino, non ci diceva nulla!
Per non parlare delle famose spiagge rosa di Barbuda che non abbiamo visto.
Voto: 6+.
Quando siamo tornati a St.John’s erano da poco passate le 17 ed infatti, come ci aspettavamo, era già tutto chiuso.
La sera a cena abbiamo scoperto un altro buon ristorante, il Papa Zouk, vicino all’Home Restaurant. Il locale, molto piccolo e intimo presenta una piccola saletta interna ed una veranda esterna provvista di ventilatori.
Si mangia a base di pesce, anche qui ben cucinato, proviamo il tris composto da mahi mahi alla griglia, red snapper fritto e gamberetti.
Molto simpatici i proprietari, in particolare lui che in italiano molto ma molto approssimativo ci dice di essere nato all’isola d’Elba e che da piccolo si trasferì con tutta la famiglia ad Antigua.

Martedì 21 lo passiamo interamente sulla spiaggia dell’hotel ma il giorno dopo decidiamo di rinoleggiare l’auto per un giorno, almeno per gustarci per l’ultima volta la spiaggia di Johnson’s Point.
Arrivati lì, la grande delusione. Il parcheggio è pieno di jeep, c’è la solita marmaglia di gente che sta partecipando al jeep safari.
Va be’, ci facciamo coraggio, non esiste solo Johnson’s Point, un paio di chilometri indietro c’è Darkwood, un’altra garanzia ed infatti quella è stata l’ultima nuotata di Antigua.
Al rientro in hotel troviamo un messaggio del tour operator: causa chiusura per tre giorni dell’aeroporto giamaicano di Montego Bay, il volo di ritorno è stato spostato non di una ma di 5 ore!, invece di partire domani sera alle 21,30 decolleremo alle 2,30 di notte.
Sulle prime il malcontento ha avuto il sopravvento poi ha prevalso il lato positivo: vorrà dire che domani avremo un’altra giornata intera di mare ed infatti è stato così, spiaggia, libri e conchino.
A proposito, ci tengo a sottolineare la mia vittoria nella classifica generale della vacanza, in barba al super favorito Alessandro, che ha dovuto abdicare.

Il viaggio di ritorno è stata un’odissea durata più di 24 ore.
Giovedì sera alle 23,30 ci vengono a prelevare all’hotel.
Arrivo all’aeroporto. Partiamo alle 2 (mezz’ora prima del previsto, incredibile) per lo scalo in Jamaica.
Due ore e un quarto di volo, scalo a Montego Bay, scesi dall’aereo e fermi in aeroporto dalle 4,15 alle 6,30 di mattina in attesa di ripartire.
Dieci ore di volo per arrivare a Malpensa alla mezzanotte circa di venerdì.
Non è finita, a Firenze mancano ancora 350 km.
Non abbiamo sonno, ripreleviamo la macchina e ripartiamo. Il meritato letto di casa arriva alle 4,30 di mattina, quasi 48 ore dopo aver toccato l’altro letto, quello antiguano.
Ma si sa, sono i piccoli sacrifici, a cui uno deve sottoporsi se vuole intraprendere viaggi di questo genere, il giorno dopo non ci ripensi più e, anzi, il pensiero corre a quello che sarà il prossimo viaggio.

Un commento in “Colori e sapori di Antigua
  1. Avatar commento
    milanchamp
    10/02/2010 16:24

    Recensione gradevole e utile. Tra 2 settimane ci vado anch'io!

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