Grande Argentina! - Seconda parte

Si conclude una memorabile esperienza nell’immenso Paese sudamericano

Questo resoconto descrive la parte finale del viaggio già pubblicato con lo stesso titolo in questo medesimo sito. Il diario riprende da dove era stata interrotta la precedente relazione.30 gennaio 2007
Oggi si conclude il nostro itinerario attraverso la Patagonia, tra poco lasceremo il Cile per raggiungere l’aeroporto di El Calafate, da lì con un volo di un’ora e un quarto ci sposteremo nella Tierra del Fuego.
Facciamo colazione con comodo, l’appuntamento con un autista per il trasferimento ad El Calafate è alle 9, il volo per Ushuaia è previsto per le 16,50, c’è tutto il tempo per fare ogni cosa con calma.
L’autista arriva puntuale, è un uomo allegro, molto ben disposto alla conversazione, si comincia con i soliti preamboli… di dove sei tu?... di dove sono io!... lui è di Puerto Natales, importante crocevia turistico, è proprietario in quella cittadina di una piccola guesthouse, lavora molto durante la breve estate australe (con 17/18 ore di luce al giorno) per il resto dell’anno, quando il flusso turistico si riduce insieme alle ore di luce (max 5/6 al giorno) va in “letargo” con tutta la famiglia.
Noi? è ovvio, siamo italiani, in questa parte del Sudamerica la nostra nazionalità ci privilegia, siamo i Campioni del Mondo, perse le speranze per le proprie Nazionali qui tutti, durante la finale del 9 luglio 2006, hanno tifato per gli Azzurri. Oltre a questo abbiamo cantanti famosi quali Nicola Di Bari, Raffaella Carrà e Gigliola Cinquetti, di cui il “nostro” uomo possiede tutti i dischi… proviamo imbarazzo nel non ricordare neppure una delle tante canzoni di Di Bari, per rinfrescarci la memoria, lui, l’autista, inizia a cantare con una bella voce intonata “Chitarra suona più piano”, poi “La prima cosa bella” innescando così vecchi ricordi, lo seguiamo dapprima timidamente, poi, man mano che ricordiamo i testi, con più vigore.
Apro una parentesi: per me cantare è un evento eccezionale, sono stonata e inibita dalla vergogna, non canto neppure quando sono sola. Quest’uomo però è tanto contagioso da riuscire a sbloccarmi.
Carrellando da Di Bari alla Carrà raggiungiamo il culmine con “Non ho l’età” della Cinquetti.
Passiamo, infine, a cose serie, è la volta dei rispettivi inni nazionali, prima quello cileno, bellissimo e cantato egregiamente, poi il “lamento” di Mameli (povero, nel sentirci si sarà rigirato più volte nella tomba!) dopo di che il gemellaggio Cile/Italia è sancito.
Peccato che il nostro nuovo amico non ci accompagnerà per tutta la durata del trasferimento, alla frontiera ci dobbiamo salutare, lui carica altri turisti e torna indietro, noi proseguiamo con un altro mezzo ed un autista taciturno, che da l’impressione di non conoscere la strada o di essere eccessivamente timoroso nel guidare, avanza anche sui tratti asfaltati ad una “velocità” di 50 km orari, facendoci addirittura temere di non arrivare in tempo in aeroporto.
Ce la facciamo, ma non con tanto margine, vabbè… quel che conta è che ora siamo in volo verso l’estremo Sud, dal finestrino vediamo sfumare la gemma turchese del Lago Argentino incastonata nella steppa color ocra rossa, sorvoliamo la costa lambita dall’Atlantico che ha straordinari colori e trasparenze, passiamo sopra uno spesso strato di nuvole che dirada giusto in prossimità dello Stretto di Magellano, che anche dall’alto appare larghissimo.
Raggiunta l’Isla Grande riconosciamo il Canal de Beagles sulle cui acque sembrano galleggiare piccoli isolotti: anelli rocciosi circondati da alghe che disegnano splendidi arabeschi fluttuanti e si distinguono nitidamente attraverso la trasparenza dell’acqua.
Affacciata sul Canale si scorge la città di Ushuaia con alle spalle belle montagne innevate.
Vedo la pista d’atterraggio che si protende nell’acqua ed avverto forte il senso di “fine del mondo”, durante la virata sull’Isla Navarino (che sta dall’altra parte del Canale dirimpetto ad Ushuaia) e la successiva manovra di abbassamento provo un’emozione molto intensa, non si tratta di paura, non ho timore di volare, non mi agito per una pista che – vista dall’alto – sembra troppo corta, la mia emozione è felice, ma non so spiegarla, è come se fosse scattata improvvisamente una molla, stiamo volando sulle ultime terre, più giù ci sono solo i ghiacci perenni dell’Antartide, non è tanto il saperlo che mi emoziona, è la netta percezione che ho avvertito a fior di pelle a rendermi così raggiante.
Atterriamo qualche minuto dopo e con un breve trasferimento raggiungiamo una zona marginale all’estremità orientale della città, vedendo cataste di containers, enormi capannoni e depositi mi preoccupo un po’ temendo di aver sottovalutato la posizione dell’hotel prenotato, ma, abbandonata la strada principale, un viottolo ed un paio di curve cambiano completamente lo scenario, ci fermiamo ai margini di un bel bosco di lenga.
Tra gli alberi si intravede una deliziosa casetta di legno che sembra la dimora descritta nelle fiabe: è l’Hosteria Los Fuegos.
Facciamo due passi nel bosco, sopra gli alberi vediamo volare alcuni condor, troviamo anche un piccolo fiume che aggiunge maggior valore al sito, la permanenza qui si prospetta molto piacevole.
Ceniamo poi a nanna, domani si va alla scoperta della Fin del Mundo.
Come sempre le cose andrebbero valutate da diverse ottiche e punti di vista, nello specifico gli abitanti di Ushuaia sostengono che qui anziché finire tutto potrebbe esserci “l’inicio de todo”.
Sull’amletico dilemma “fin del mundo?” o “inicio de todo?” calano le ombre del sonno, per quelle della notte siamo messi male, alle 23 c’è ancora luce! (per la cronaca, quest’ultima è solo una battuta, non può che farci piacere di avere a disposizione giornate lunghissime).

31 gennaio 2007
Con una breve corsa in taxi raggiungiamo il centro di Ushuaia, cittadina molto animata, qui le grandi navi da crociera sbarcano ogni giorno centinaia di turisti che si riversano negli eleganti ristoranti, pasticcerie e negozi duty free specializzati, in particolare, in abbigliamento tecnico/sportivo e souvenir.
Daremo libero sfogo alla voglia di shopping nel pomeriggio, per il momento ci limitiamo alla ricerca dell’Ufficio Turistico, di una Banca e della stazione dei minivan. Prendiamo accordi con un conducente che per una cifra modestissima ci porta alla base della seggiovia (Aerosilla) che sale al Glaciar Martial, non particolarmente entusiasmante (dopo i Glaciar Upsala e Perito Moreno, è dura trovare soddisfazione!) in compenso si gode di una bella vista su Ushuaia e sul Canale di Beagle.
Tornati in città visitiamo l’interessante Museo Marittimo, che raccoglie modellini di navi e battelli dell’epoca della colonizzazione oltre a documenti, foto, oggetti che riconducono alla storia fuegina, visitiamo, inoltre, l’adiacente Museo del Presidio, dedicato alla storia della prigione ed ai suoi ospiti più famosi (tra questi Carlos Gardel, il “padre” del Tango).
Dopo la cultura lo shopping reclama il suo spazio, percorriamo la via principale (Avenida San Martin) visitandone i numerosi negozi e locali, quindi Avenida Maipù sul lungomare ammirando i giardini, il porto ed il traffico di imbarcazioni, provando una punta di invidia per chi parte alla volta dell’Antartide.
Per cena scegliamo il ristorante Volver, locale storico che conserva una consistente collezione di oggettistica d’epoca. Per gli appassionati d’antiquariato c’è di che lustrarsi gli occhi!
Con un taxi torniamo alla casetta nel bosco e buona nanna.

1 febbraio 2007
Percorrendo la RN 3 che supera belle montagne (molto frequentate durante l’inverno per la pratica di sport invernali) vaste torbiere e castorere giungiamo al Passo Garibaldi (Luis! niente a che vedere con l’eroe dei due mondi) lasciato il minibus imbocchiamo un largo sentiero che attraversa un fitto bosco ed in circa 45 minuti scendiamo al Lago Escondido, piccola laguna senza troppe pretese, in lontananza scorgiamo il più grande Lago Fagnano che raggiungiamo poco dopo.
Il lago è molto bello, la superficie increspata dal vento ed il colore che sfuma dal trasparente al blu scuro ci fanno pensare al mare.
Tuttavia, scoprendo che l’itinerario termina qui proviamo grande delusione. L’Agenzia che organizza questa escursione offre un buon servizio, la guida che ci accompagna è una sportivissima madre di 4 figli, molto competente, attenta e simpatica, ma non riusciamo ad accontentarci ed a sentirci soddisfatti della vista di quest’unico pezzetto di lago sapendo che la sua lunghezza totale è di 110 km. Pazienza, è andata così!
Dopo la sosta pranzo in una Estancia, a metà pomeriggio, rientriamo in hotel, pausa di alcune ore, poi, alle 19,15, si parte per una nuova escursione alla ricerca dei castori, mammiferi che, importati dal Canada nel 1946, si sono, qui, ben ambientati e riprodotti a dismisura al punto da costituire una calamità.
Sono animali intelligenti, lavoratori e professionisti dell’ingegneria idraulica, ma il loro elevato numero, l’opera di abbattimento di alberi, la creazione di dighe e la conseguente inondazione dei terreni sta mettendo in pericolo i boschi, problema che gli abitanti fuegini cercano di arginare con varie iniziative tipo la ripiantumazione e creazione di nuove zone boschive e l’abbattimento programmato di un certo numero di castori.
Raggiunto un bel boschetto, si indossano stivali di gomma ed a piccoli gruppi, ciascuno accompagnato da una guida, si attraversa una torbiera dal suolo morbido fino ad arrivare nella zona dove gli “ingegneri” hanno eretto le loro tane: rifugi di forma circolare di legno, fango e pietra costruiti nei bacini d’acqua creati dalle dighe le cui gallerie di ingresso sono esclusivamente subacquee e possono raggiungere la lunghezza di 3 metri.
Purtroppo piove e c’è molto vento, quest’ultimo è la sola condizione che impedisce ai castori di uscire dalle tane, cosa che normalmente avviene verso il crepuscolo.
Attendiamo per molto tempo sotto la pioggia, spostandoci di tanto in tanto da un bacino d’acqua ad un altro, il vento però continua a soffiare, riusciamo a vedere un solo castoro che nuota ed un altro che si arrampica sull’argine terroso per sparire subito dopo.
Due castori non sono un gran “bottino”, siamo comunque soddisfatti per l’emozionante clima surreale, di silenzio e di aspettativa; anche se lo scenario e, soprattutto il meteo, sono differenti proviamo le stesse sensazioni che si avvertono in Africa, quando, all’alba o al tramonto, tutto tace e pare immobile, quando con la paura di far rumore solo respirando si resta in attesa di vedere apparire una macchia o un movimento nella savana, non importa di quale animale, è il passaggio dalla staticità al movimento che fa scattare la scintilla dell’eccitazione.
Tornando ai castori… guardandoci attorno ci rendiamo conto che il loro operare è devastante, sembra sia passato un uragano, ci sono residui di alberi abbattuti e morti ovunque, l’ambiente ha un certo che di spettrale, è difficile credere che, con i soli denti, i castori riescano a rosicchiare la base di un albero fino a farlo cadere. Proviamo un misto di ammirazione per la laboriosità di questi mammiferi e di sconforto nel vedere ampie zone di bosco così devastate.
Continua ad esserci vento e non succede più nulla, dopo lunga e vana attesa la guida, seppur con rincrescimento, ci invita a lasciare il luogo.
Ci rifugiamo al caldo, prodotto da una bella stufa, all’interno di una baita di legno; la guida insieme ad un’amica residente a Buenos Aires, ora in vacanza, si siede al nostro stesso tavolo, trascorriamo il resto della serata conversando piacevolmente e ridendo di gusto come vecchi camerati, se poi aggiungiamo ottimi ed abbondanti stuzzichini, dolci e buon vino il risultato è delizioso. Di nuovo grazie alla simpatia ed alla cordialità degli argentini!

2 febbraio 2007
La pioggia, durante la notte, alle quote più elevate si è tramutata in neve, ci svegliamo con il sole e con lo spettacolo delle montagne spolverate di bianco.
La giornata è ricca di programmi, partiamo, dopo aver fatto colazione, per l’escursione all’interno del Parque Nacional Tierra del Fuego.
Il Parco si affaccia (a sud) sul Canal de Beagle e si estende (a nord) fin oltre il Lago Fagnano su una superficie di 63.000 ettari. La parte visitabile, aperta al pubblico, si limita alla zona meridionale costiera (circa 2.000 ettari) caratterizzata da numerose calette, piccoli promontori, spiagge e scogliere che costituiscono l’habitat ideale per volatili di varie specie e fauna marina. Allontanandosi dalla costa si trovano piante caratteristiche del bosco sub-antartico che crescono spontaneamente e si sviluppano, alla ricerca della luce, soprattutto in altezza.
La varietà degli alberi si riduce a tre sole specie: lenga, ñire e coihue magellanico.
Visitiamo la prima porzione del Parco a bordo dei vagoni del Tren Fin del Mundo, pittoresco trenino turistico che segue parte del tracciato dei binari dell’antica ferrovia della colonia penale.
Tra sbuffi di vapore e fischi attraversiamo una bella vallata verde dove scorre il Rio Pipo.
Prima fermata alla Estacion Cascada la Macarena; considerata la faticosa e ripida scalinata che raggiunge la sommità della “cascata” riteniamo che la definizione, associata al rigagnolo d’acqua che compare davanti ai nostri occhi, sia un po’ esagerata, diciamo che il panorama sottostante è interessante e che tenersi in moto fa bene così riusciamo a dare un senso alla fatica.
Il trenino avanza tra distese verdeggianti, boschi, torbiere, torrenti e zone con alberi tagliati (all’epoca dei lavori per la costruzione del carcere) e morti, ma ancora intatti, qui il processo di decomposizione (grazie ai forti venti ed al clima particolarmente secco) è lentissimo, può durare centinaia di anni.
Terminato il tragitto ferroviario, raggiungiamo la suggestiva Bahia Ensenada che, affacciata sul Canal de Beagle, regala un’incantevole vista sulle isole ed isolotti disseminati qua e là.
In questo luogo remoto ha sede un piccolissimo ufficio postale che applica sulle cartoline e, volendo, anche sui passaporti un simpatico timbro che “certifica” il passaggio dalla Fin del Mundo. Consegniamo al “postino” le nostre cartoline (incrociando le dita) per quanto riguarda la timbratura del passaporto preferiamo tenere le pagine libere e disponibili per futuri viaggi.
Nota di merito all’ufficio postale: le cartoline sono state regolarmente ricevute dai destinatari ed il bel timbrone applicato è stato molto apprezzato.
Il giro prosegue con la sosta al bellissimo e verdissimo Lago Roca che raggiungiamo camminando attraverso un esteso spiazzo erboso popolato da numerosi conigli selvatici.
Ultima sosta nei pressi del segnale che indica la fine della RN3, strada che ha inizio a Buenos Aires esattamente 3.063 km più a nord.
Parentesi: la RN3 in realtà è più lunga, ma gli argentini, noti per lo smisurato campanilismo che li contraddistingue, hanno detratto dal conteggio totale i km che la strada attraversa in territorio cileno.
Dal cartello, camminando in leggera salita all’interno di un bosco, giungiamo ad affacciarci sulla spettacolare Bahia Lapataia, seguendo una serie di passerelle ci avviciniamo all’incantevole insenatura che ammiriamo deliziati e con queste suggestive immagini termina il percorso all’interno del Parco.
Apro una parentesi per ricordare un episodio molto singolare:
in coda alla biglietteria del Tren Fin del Mundo, tra centinaia di altri turisti, conosciamo una coppia di italiani, fino a qui nulla di straordinario, siamo un popolo di viaggiatori, è facile incontrare connazionali ovunque nel mondo, ma conversando con Cinzia e Fabio sulle rispettive provenienze il campo si restringe sempre di più… dapprima, genericamente, siamo tutti milanesi, poi residenti nei dintorni di Monza ed infine scopriamo di abitare nello stesso piccolo paese che all’anagrafe conta circa 3.500 anime e, non solo, le nostre abitazioni distano poco più di un chilometro l’una dall’altra. Dopo lo stupore iniziale, ridiamo divertiti del fatto di non esserci mai incontrati a casa nel raggio di un chilometro e di esserci, invece, conosciuti a ben 13.500 km di distanza.
Questo evento sarà, con tutta probabilità, riportato anche sul giornaletto periodico pubblicato dal nostro Comune di residenza.
Naturalmente, a viaggio concluso, ci siamo rivisti trascorrendo una piacevole serata/nottata all’insegna dei ricordi sull’Argentina e della visualizzazione di centinaia di fotografie.
Tornati in città facciamo un veloce spuntino, poi ci imbarchiamo su un catamarano per la navigazione sul Canal de Beagle.
Il termine “canale” suona riduttivo per questo tratto di mare che, con i suoi 120 km di lunghezza, unisce l’Atlantico al Pacifico e separa, con la sua larghezza di 4 km, le grandi isole settentrionali della Terra del Fuoco da quelle più piccole e meridionali che costituiscono l’ultimo lembo di terra prima dell’Antartide.
L’ampia baia di Ushuaia vista dal mare è uno spettacolo unico, non avevo mai visto prima d’ora mare e montagne innevate nello stesso contesto, la visione di questa “cartolina” rafforza la sensazione di fine del mondo.
La giornata continua ad essere abbastanza soleggiata, il vento però è forte, ciò nonostante durante la navigazione sostiamo sul ponte facendoci subito catturare dal paesaggio e dal colore blu intenso e profondo del mare.
Il catamarano si avvicina a diversi isolotti regalandoci suggestive scene da documentario: alcuni isolotti sono letteralmente ricoperti da “eserciti” di cormorani, altri ospitano colonie di leoni marini ed otarie, altri ancora sono imbiancati dal guano, è un susseguirsi di immagini straordinarie accompagnate da suoni, odori e dal continuo alzarsi in volo di enormi stormi di questa o quella specie di volatili.
E’ davvero difficile rendere, a parole, l’esatta proporzione della grandezza e bellezza che la natura sa regalare, è una continua esibizione spontanea e gratuita a disposizione di chiunque, senza termini e condizioni.
Provo un dolore acuto pensando che, grazie al comportamento sconsiderato dell’unico “animale” (l’uomo) dotato della parola e di una forma di intelligenza superiore a qualsiasi altra, tutto questo potrebbe un giorno (pare neppure troppo lontano) finire.
Fa ancora più male pensare che proprio qui, su queste terre quasi disabitate, prive di inquinamento, dalla bellezza esagerata si sia aperto il “famoso” buco nello strato di ozono che riveste la superficie terrestre.
Mi sono permessa questa “divagazione” non per eccessiva negatività o perché non sappia godere di un bel momento o paesaggio, bensì per indurre chi avrà la pazienza di arrivare in fondo alla lettura di questo lungo resoconto ad una riflessione sulla bellezza e generosità della natura e l’importanza del rispetto di essa da parte di ciascuno di noi.
La navigazione prosegue fino a doppiare il solitario Faro Les Eclaireurs, che segna l’ingresso nel porto di Ushuaia, si torna poi lentamente verso il punto di partenza.
L’ultimo affascinante spettacolo cui assistiamo ci è offerto da un “isolotto” di colore bianco, avvicinandoci ci rendiamo conto che non si tratta di terra, ma di migliaia di gabbiani che, compatti tanto da sembrare un’isola, stanno probabilmente banchettando a pelo d’acqua alle spese di un enorme banco di pesci, mi si fanno gli occhi lucidi dall’emozione quando l’intera massa bianca spicca il volo.
A questo punto è poco naturalistico e per nulla romantico parlare di shopping, ma sono le nostre ultime ore di permanenza nella città “tax free” quindi “ora? o mai più?”, inutile dirlo “ora!” facciamo così scorta di abbigliamento tecnico e sportivo di ottima qualità senza “svenarci”.
Ceniamo presso la Cantina Fueguina, ristorante rinomato per la centolla (grosso granchio) al naturale, specialità locale servita intera accompagnata da squisite salsine e verdure. Superba!
Con un taxi torniamo, per l’ultima volta, alla casina nel bosco, lottiamo un po’ per chiudere i bagagli e – da non credere – riusciamo a far tardi andando a dormire col buio.

3 febbraio 2007
Lasciamo l’estremo sud dell’Argentina per trasferirci 4.000 km più a nord nella Provincia di Misiones.
Partiamo da Ushuaia alle 9 del mattino e tra il ritardo di un volo, una sosta prolungata durante uno scalo intermedio ed uno scalo fuori programma raggiungiamo Puerto Iguazu verso le 19, il lungo viaggio ed il nervosismo ci hanno stroncato, questo, tuttavia, non ci impedisce di apprezzare i colori (verde la foresta, rossa la terra) e la temperatura estiva.
Rimandiamo a domani qualsiasi iniziativa, per questa sera quel che occorre è una buona cena ed una profonda dormita, in hotel c’è tutto quel che occorre, quindi doccia, abiti leggeri e relax fino all’ora di andare a nanna.

4 febbraio 2007
Ci troviamo nella zona delle Cataratas del Iguazù: I (acqua) Guazù (grande) nella lingua indigena guaranì.
Iniziamo dal lato argentino.
Entrati nel Parque Nacional Iguazù imbocchiamo il Sentiero Verde che per 600 m attraversa la fittissima foresta sub-tropicale e termina in prossimità della stazione del Tren Ecologico della Selva, il trenino costeggia il Rio Iguazù per alcuni km e raggiunge la Estacion Garganta del Diablo; da qui parte una passerella lunga 1,2 km che, scavalcando il fiume, permette di arrivare proprio a pochi passi dalla gigantesca ed impressionante Garganta del Diablo (gola del diavolo) senza dubbio il punto più spettacolare e scenografico delle Cataratas, lo spettacolo è inimmaginabile, la massa d’acqua che precipita nella gola sottostante con un salto di 80 metri ha una potenza enorme, solleva grandi nuvole di vapore che ci bagnano completamente, siamo costretti a rinunciare alle fotografie, ma sostiamo a lungo ad ammirarne la forza storditi dal rumore assordante e dal precipitare ininterrotto di un muro d’acqua che genera un senso di vertigine, a momenti pare che l’acqua anziché precipitare vada in senso opposto cioè in salita, proviamo l’incredibile ebbrezza di sentirci “dentro” la cascata. Che fantastica esperienza!
Ripreso il trenino, torniamo alla Estacion Cataratas, da qui partono due circuiti che rendono possibile l’avvicinamento ad altri importanti salti e di averne una visione da prospettive diverse.
Percorriamo prima il Paseo Superior, serie di passerelle che consentono di raggiungere terrazze panoramiche strategicamente collocate sopra o di fronte a diversi salti, quindi il Paseo Inferior, ripida scalinata che scende quasi a livello del fiume cui segue un percorso su passerelle che offre l’opportunità di ammirare le cascate dal basso.
E’ difficile descrivere ogni singola cascata, credo che neppure le foto riusciranno a rendere giustizia ad un simile spettacolo, sono favolose e da vedere!
Raggiungiamo la riva del fiume ed il piccolo pontile, posto di fronte all’Isla San Martin, da cui inizia l’escursione in gommone dal nome che la dice tutta “Gran Aventura Nautica”.
Fa molto caldo, ci mettiamo in fila in paziente attesa, indossiamo i giubbotti salvagente che cacciano ancora più caldo, proviamo invidia nei confronti di chi, bagnato fradicio, ha appena terminato la navigazione ed ha tutta l’aria di essersi parecchio divertito, non vediamo l’ora di darci una rinfrescata. Arriva finalmente il nostro turno, nel frattempo s’è messo a piovere, saliamo a bordo del gommone, si parte, aggirando sul lato destro l’Isla San Martin, con un primo avvicinamento al salto San Martin, secondo solo alla Garganta del diablo, sostiamo qualche minuto per ammirarne bellezza e potenza poi il gommone si allontana spostandosi sull’altro lato dell’isola, facciamo la prima “doccia” sotto una cascata minore, è bellissimo, l’acqua, che non è affatto fredda, si insinua dappertutto infradiciandoci completamente, senza avere il tempo di riprenderci altra lavata sotto un secondo salto, l’eccitazione è al massimo ed è contagiosa, tutti ridiamo e gridiamo per sottolineare l’apprezzamento.
Dopo le “finte” si fa seriamente, il timoniere si dirige nuovamente in prossimità della cascata San Martin, qualche secondo di attesa e poi sotto a tutto gas… che botta! l’acqua è proprio “spessa”, manca il fiato, ma è stupendo, tanto ci è piaciuto che all’unanimità chiediamo il bis e di nuovo sotto.
Ancora qualche minuto di osservazione, un’ultima incursione sotto un salto meno impetuoso, poi si sfreccia per alcuni chilometri lungo il corso del Rio Iguazù con virate a pelo d’acqua ora a destra ora a sinistra.
Presi dalle cascate e da tutto il resto non ci eravamo resi conto che l’intensità della pioggia è aumentata, lo realizziamo solo ora sentendo le gocce che sulla pelle sono vere e proprie staffilate. La nostra euforia si mantiene ad un livello molto elevato, ridiamo anche per l’acquazzone… tanto più bagnati di così!
Il fiume è bordeggiato, da ambo i lati, da foresta molto fitta, alla nostra destra c’è il Brasile, a sinistra l’Argentina, le linee di confine invisibili mi procurano sempre una certa emozione.
Dopo le ultime acrobazie del timoniere si sbarca, ma l’avventura non è finita… ci aspetta una lunga scalinata in salita ed il tragitto per una buona mezz’ora sul cassone di un camion scoperto che, attraversando la foresta, ci riporterà al punto di partenza.
Veniamo investiti da un violento nubifragio tropicale, la guida protetta da una robusta mantella gialla comincia a raccontare di flora e fauna locali e continua imperterrita sino a fine corsa, siamo però troppo fradici e, dopo pochi minuti, anche infreddoliti per riuscire a seguire la “lezione”, con il passare del tempo proviamo, anzi, il desiderio di zittirla. Di tutto quel che ha raccontato c’è una sola cosa che ci resta molto ben impressa: quest’area sub-tropicale, in un anno, riceve circa 2.000 mm (Sissignori 2 metri!) di pioggia, considerato il mezzo metro che ci è caduto sulla testa in due soli giorni non abbiamo motivo di dubitarne!
Raggiunto l’hotel, una doccia calda ed abiti asciutti ci fanno sorridere della “Gran Aventura”.
La stanza sembra un campo di battaglia, abbiamo teso una corda e steso tutto ad asciugare, zaini compresi.

5 febbraio 2007
La giornata inizia con un alternarsi di piogge e schiarite, abbiamo la necessità di cambiare un po’ di soldi, decidiamo di sfidare la pioggia ed in taxi raggiungiamo il centro di Puerto Iguazù, sbrigate le operazioni di cambio, visitiamo il luogo simbolo della cittadina chiamato Hito Argentino de las Tres Fronteras dove il Rio Iguazù confluisce nel Rio Paranà segnando il confine naturale tra Argentina, Brasile e Paraguay.
La curiosità di questo sito è che ciascuno Stato ha eretto un piccolo obelisco con i colori della propria bandiera e che tutti e tre gli obelischi sono perfettamente visibili da questo punto panoramico, proviamo un po’ di emozione nel vedere contemporaneamente 3 importanti Paesi.
Con un bus torniamo in centro, facciamo acquisti di graziosi oggetti di artigianato in legno, infine, in un negozio di articoli per pescatori, troviamo due robuste mantelle antipioggia con cappuccio e visiera, ha smesso di piovere, ma dovendo sostare nei dintorni per altri 4 giorni e memori del livello di precipitazioni annue non ci pensiamo due volte: le acquistiamo.
Con un taxi facciamo ritorno in hotel, recuperato lo zaino con il necessario per due giorni siamo pronti per il trasferimento nel cuore della Selva Misionera.
La strada passa attraverso tratti di foresta alternati a campi coltivati, attraverso il finestrino del bus vediamo scorrere piantagioni di manioca, mate, tabacco, tè e villaggi di poche casette, la terra è rossa, superiamo diversi corsi d’acqua ed un grande bacino lacustre formato da una possente diga, dopo circa un paio d’ore di strada asfaltata ci fermiamo e cambiamo mezzo di trasporto, ci trasferiamo sulle panche del cassone di un vecchio camion militare ricolorato a tinte vivaci e, ora, adibito al trasporto di turisti.
Prendiamo una pista sterrata che, tra il verde delle piantagioni, si snoda in un lungo nastro color mattone, superati piccoli villaggi ci inoltriamo nella foresta sempre più fitta fino ad arrivare, dopo circa un’ora, allo Yacutinga lodge che dall’esterno è poco visibile. I piccoli edifici di cui è composto sono interamente ricoperti dalla vegetazione che conferisce a tutto l’insieme un aspetto selvaggio.
Ci sentiamo subito a “casa”, intorno a noi solo foresta lussureggiante con i mille suoni e richiami di insetti, uccelli e animali che la popolano.
Prendiamo possesso del bungalow assegnato, è molto spazioso e arioso, ha finestre su tre lati aperte sulla foresta, ha inoltre una spaziosa veranda dalla forma di voliera protetta solo da zanzariere, si ha così l’opportunità di apprezzare la Selva con i suoi svariati movimenti, suoni e odori al riparo da insetti e quant’altro.
Gli arredi di Yacutinga ci riportano all’infanzia, i tavoli sono ricavati da enormi dischi di tronchi d’albero, gli appendiabiti da grossi rami, contorte radici fanno da base a qualsiasi piano, per la realizzazione di alcune pareti vetrate, anziché le classiche mattonelle di vetrocemento, sono state utilizzate bottiglie di vetro spesso con l’accortezza di abbinarne i colori (alcune pareti vetrate sono di colore bianco trasparente, altre gialle, altre ancora verdi…) tutto l’insieme, oltre ad essere molto originale, ci fa sentire tanto Fred & Wilma dei cartoni degli Antenati.
Andiamo ad “esplorare” gli esterni, scoprendo che volendo fare un tuffo rinfrescante c’è una piccola piscina, troviamo amache appese agli alberi, piante e fiori sconosciuti di dimensioni esagerate.
Facciamo amicizia con una specie di rettile che non riusciamo a classificare come iguana e neppure come varano.
Attratti da una torretta di osservazione ci saliamo, raggiunta la piattaforma troviamo un lungo ponte di corde sospeso che ci permette di passeggiare tra le cime degli alberi. Ho un debole per i ponti in generale, in particolare ho un’autentica passione per i ponti di questo tipo, trovarne uno qui, inaspettatamente, è fonte di immensa gioia, lo percorro più volte scrutando sotto e tra i rami meravigliata dalle dimensioni della vegetazione ed alla ricerca di eventuali “ospiti”. Dovrebbero essere presenti scimmie cappuccino e tucani oltre a diversi altri uccelli… speriamo di vederli!
Lasciamo il ponte e la torretta per il briefing con le guide, il luogo d’incontro è fissato sotto un ampio padiglione circolare attrezzato con panche di legno ed un grande braciere al centro del quale è stato acceso un bel fuoco che aggiunge caldo al caldo, ma che noi apprezziamo molto perché ci ricorda tante serate africane.
In totale siamo 16 ospiti, le guide descrivono le attività in programma per domani, alcuni particolarmente “sportivi” rinunciano, dopo di che ci suddividono in due gruppi, 6 di noi faranno l’escursione in barca la mattina ed un trekking nella foresta il pomeriggio, gli altri 6 le stesse attività in ordine inverso.
Le chiacchiere attorno al fuoco proseguono fino all’ora di cena.
Per i pasti si utilizzano ingredienti coltivati qui, o acquistati presso i vicini villaggi, che elaborati dalle mani di un cuoco creativo e di ottima scuola si tramutano in piccole opere d’arte dai sapori ottimi.
Dopo la squisita cena ed un po’ di conversazione con gli altri ospiti, pienamente soddisfatti di trovarci in questo luogo, ci ritiriamo nel bungalow e ci addormentiamo con il sottofondo dei suoni provenienti dalla foresta.

6 febbraio 2007
La nostra giornata inizia alle 5,45, come avviene in Africa anche qui la sveglia consiste in una energica bussata alla porta, veloci ci vestiamo, facciamo colazione e, prima di partire per l’escursione, passiamo da una casupola dove, in fila ordinata, troviamo stivali di gomma che si rivelano utilissimi per camminare nel fango.
Ci accompagnano un indigeno guaranì e Mary, studentessa di Buenos Aires presso una scuola con indirizzo turistico ecologico attualmente “residente” qui allo scopo di compiere un tirocinio della durata di alcuni mesi.
Prendiamo un sentiero camminando fino a raggiungere il Rio San Francisco, saliamo su un gommone, Mary ed il guaranì remano seguendo la corrente, noi osserviamo la vegetazione che bordeggia il fiume attenti a cogliere anche il più piccolo movimento.
Con i primi raggi di sole, dal fiume l’umidità sale in forma di nebbiolina, avanziamo in uno scenario quasi irreale in assoluto silenzio prestando attenzione ai suoni provenienti dalla foresta ed alla voce sommessa di Mary che indica uccelli e racconta, con molta competenza, a quale specie appartengono, le abitudini e così via.
Il Rio San Francisco è un affluente del più grande Rio Iguazù nel quale sfociamo tempo dopo e percorriamo per qualche chilometro semplicemente seguendone la corrente, molto suggestivo l’effetto delle nuvolette bianche che si specchiano sulla calma superficie d’acqua, rigogliosa la vegetazione sulla sponda che stiamo costeggiando, sull’altra riva anche se il paesaggio è lo stesso si affaccia il Brasile.
Sbarcati dal gommone ci arrampichiamo un po’ a fatica sull’argine fangoso, ci inoltriamo poi nella foresta molto fitta dove la bravissima Mary ci mostra ben 5 diverse specie di bambù, ci descrive le caratteristiche di piante, fiori, insetti, ci invita ad assaggiare bacche, frutti mai visti e radici.
La camminata è lunga, caldo, umidità e zanzare ci tormentano, ma le spiegazioni di Mary sono tanto interessanti da far passare in secondo piano i piccoli disagi.
Arriviamo al lodge accaldati e piuttosto infangati, ma molto soddisfatti per la piacevole escursione, peccato si siano visti solo pochi uccelli e ragni giganti… per l’avvistamento di altri animali contiamo di rifarci nel pomeriggio.
Il attesa dell’ora di pranzo raggiungiamo la torretta ed il ponte sospeso, scrutiamo tra gli alberi stando in totale silenzio nella speranza di vedere tucani o scimmie: niente da fare! Anche questa “spedizione” va buca.
Andiamo a consolarci con i manicaretti confezionati dal cuoco che, anche oggi, ci sorprende per la sua abilità.
Prima del trekking pomeridiano abbiamo un paio d’ore libere che decidiamo di non impegnare, ci rifugiamo nel bungalow arioso con l’intenzione di leggere, ma la stanchezza ha il sopravvento e ci addormentiamo. Tempo dopo veniamo svegliati di soprassalto dai rumori del vento e della pioggia scrosciante, sulle prime la cosa non ci preoccupa, manca ancora diverso tempo all’appuntamento con Mary ed il gruppo, potrebbe smettere nel giro di poco, ma le nostre personali previsioni meteorologiche sono tanto ottimistiche e poco reali. Piove a dirotto per diverse ore e così forte che è impensabile uscire. Dopo aver atteso a lungo in veranda, con una candela accesa (solo per far luce! non è il caso di smuovere i Santi per un acquazzone) senza risultato, decidiamo di dormirci su (non c’è corrente ed è impossibile leggere) e pazienza per l’escursione ormai persa!
Smette poco prima dell’ora di cena, passiamo in zona fuoco a darci una scaldatina poi onoriamo lo chef che questa sera presenta pollo in salsa di clorofilla, curiosissimo da vedersi con quella glassa color azzurro/verde e dal sapore delizioso.
Fatte due chiacchiere in “società” si va di nuovo a nanna con la speranza che non piova, anche le guide sono preoccupate per lo stato della pista che domani dovremo percorrere a ritroso per rientrare a Puerto Iguazù.

7 febbraio 2007
Il tempo è splendido, facciamo colazione, chiudiamo lo zaino, ritentiamo la fortuna con un ultimo giro sul ponte sempre senza vedere il becco di un tucano, oggi non si incontrano neppure le iguane/varano… ma dove vi siete cacciati tutti?
Spero di vedere almeno un serpente, ne ho una paura tremenda, ma non voglio arrendermi a lasciare questo luogo perfetto senza aver visto animali “esotici”.
Devo, invece, rassegnarmi!
Il camion è pronto, salutiamo le simpatiche persone che lavorano a Yacutinga.
Per la “cerimonia” d’addio il fantastico cuoco ha sfornato empanadas di verdure ed empanadas di carne, un ultimo brindisi con Mate freddo e via si parte lungo la pista rossa che, nonostante, la pioggia, non è tanto malmessa e ci consente di procedere ad andatura media. In meno di tre ore raggiungiamo l’hotel di Puerto Iguazù.
Approfitto del clima caldo e soleggiato per fare l’ultimo bucato, poi esamino la guida per capire come impegnare il resto del pomeriggio.
Decidiamo di fare due passi qui attorno e di visitare La Aripuca, colossale struttura costruita con i tronchi giganteschi di ben 30 alberi diversi che riproduce una piccola trappola per uccelli un tempo usata dai guaranì.
Gli alberi utilizzati per la costruzione di questo eco-simbolo sono tutti caduti per cause naturali e recuperati allo scopo di sensibilizzare i visitatori sull’importanza della conservazione della Selva Misionera. Volendo, qui, è possibile aderire al programma di adozione a distanza di alberi.
All’interno del Centro La Aripuca trovano spazio anche diverse esposizioni e bottegucce di artigiani locali che propongono begli oggetti in legno. Al termine della visita ci concediamo un gelatone al gusto di Yerba Mate.
Tornati in albergo c’è ancora una cosa che possiamo fare: la proprietà include un pezzo di foresta all’interno della quale è stato creato un percorso salute lungo un paio di chilometri, percorriamo il sentiero osservando le diverse specie di alberi e piante, vediamo moltissime farfalle grandi e colorate e fameliche zanzare che teniamo a bada con una rapida e generosa spruzzata di repellente.
Fatta anche questa, decidiamo di abbandonare i panni sudaticci da “esploratore” e di fare, per una volta, i turisti modello villaggio all inclusive, vale a dire asciugamano, lettino, idromassaggio, piscina ed anche una mezz’ora di acquagym… niente male! soprattutto la sguazzata in piscina.
Segue cena presso il fornitissimo buffet, quattro chiacchiere seduti al bar della piscina e poi a dormire contenti, domani si varca la frontiera brasiliana.

8 febbraio 2007
Con le Cataratas abbiamo un “credito”: la visita dal lato argentino è stata “bagnata”, per pareggiare i conti l’escursione dal lato brasiliano è all’insegna di una magnifica giornata soleggiata.
Entriamo in Brasile senza difficoltà, superata la frontiera percorriamo alcuni chilometri e raggiungiamo l’ingresso del Parque Nacional do Iguaçu.
Le Cataratas hanno un fronte di 2,6 km, all’incirca 170 salti e si sviluppano per 2 km sul lato argentino, per 0,6 km su quello brasiliano, la Garganta del Diablo (il salto più spettacolare) sta a cavallo di due parchi: P.N. Iguazù in Argentina e P.N. do Iguaçu in Brasile.
Sul versante argentino si vedono i vari salti da molto vicino, sopra e dal basso, naturalmente lo spettacolo è straordinario, ma non si riesce ad avere un’idea complessiva della disposizione e dello sviluppo del fronte delle cascate.
Da dove ci troviamo ora la visione è superba, siamo esattamente di fronte alle Cataratas, sull’altra sponda del Rio Iguazù, ne vediamo l’intero fronte riconoscendo i salti cui ci siamo avvicinati giorni fa e ne ammiriamo di nuovi.
Una visita alle Cataratas del Iguazù non può dirsi completa se non le si vede da entrambi i lati.
All’interno del Parco brasiliano ci si muove a bordo di coloratissimi bus a due piani scoperti, si segue poi un percorso su passerelle che termina alla Garganta del Diablo, una serie di terrazze sapientemente collocate alla base ed al culmine della cascata (che si raggiunge con un ascensore) offrono visioni da lasciare senza fiato, non ci sono davvero parole che possano descrivere degnamente una simile meraviglia, l’ho già detto e lo ripeto con convinzione… assolutamente da vedere!
Per concludere il “capitolo” Cataratas facciamo un volo panoramico in elicottero, anche la vista dall’alto non è uno scherzo, impressionante la voragine che si spalanca improvvisamente nel terreno, il “fumo bianco” sopra la Garganta del diablo e l’immensa foresta interrotta solamente dal nastro rossiccio del Rio Iguazù.
Lasciato il Parco ed il Brasile ci dirigiamo in aeroporto per prendere il volo delle 17 che ci riporta a Buenos Aires.
Ormai siamo agli sgoccioli, questa è la nostra ultima serata in terra argentina, decidiamo di passarla a Puerto Madero, dopo aver scelto a caso un ristorante facciamo il pieno di luci e colori passeggiando lungo le darsene, infine con un po’ di malinconia rientriamo in albergo.

9 febbraio 2007
Il volo per Roma parte questa sera alle 23,30, dedichiamo buona parte della giornata al Barrio San Telmo, quartiere ricco di botteghe di antiquari e rigattieri, la nostra passione!
Le ore passano veloci tra banconi e scaffali impolverati stracolmi di oggetti curiosi e d’altri tempi e tra divertenti contrattazioni con simpatici venditori che si risolvono in acquisti, saluti, baci e abbracci (sì, proprio così… baci e abbracci!)
A metà pomeriggio siamo carichi di borse e pacchetti, soddisfatti degli acquisti e decisamente affamati. Fortunatamente a Buenos Aires si mangia a qualsiasi ora e non è un problema, alle 15, trovare un localetto per una sosta pranzo.
Da San Telmo, a piedi, quadra dopo quadra, piazza dopo piazza, passando per il Palacio del Congreso, raggiungiamo Abasto, il vecchio mercato alimentare ora trasformato in moderno centro commerciale che, al suo interno, ospita, oltre a negozi, bar e ristoranti, un intero piano dedicato al divertimento dei bambini con tanto di ruota panoramica.
Camminiamo per l’ultima ora ancora ininterrottamente cercando di memorizzare i dettagli di questa immensa città che avrebbe ancora tante cose da mostrarci, ma il nostro tempo è scaduto, dobbiamo tornare in hotel, recuperare i bagagli e, da lì, dirigerci all’aeroporto internazionale.
Il volo di rientro è lunghissimo, snervante, scomodo, ma questo dettaglio non farà parte del nostro bagaglio di ricordi, passata la stanchezza quest’ultimo “capitolo” sarà presto dimenticato.
In attesa che le bacche del Calafate facciano il loro effetto archiviamo nel cuore e nella mente l’esperienza vissuta in Argentina… GRANDE Paese in tutti i sensi!

2 commenti in “Grande Argentina! – Seconda parte
  1. Avatar commento
    Daniela
    24/02/2008 13:37

    Grazie Horalito, non mi stancherò mai di dire che voi argentini siete un popolo speciale.

  2. Avatar commento
    horalito
    23/02/2008 00:43

    Sono contenta che dopo vari anni d'aver stato nel mio paese, seguono leggendo il tuo racconto

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