Il nuovo volto del Tibet

L’ansia di rinnovamento della Cina coinvolge anche la sua provincia più tormentata

Agosto 2005
Quest’anno, per la prima volta nei miei viaggi, sono entrato in Tibet dalla frontiera di Zhangmu, vale a dire via terra. Non sono mancate le sorprese.
La strada che da Kathmandu arriva a Kodari, anche se un po' pericolosa, in questo periodo dell’anno paesaggisticamente è stupenda; sembra di viaggiare e inoltrarsi in valli popolate da elfi che vivono dietro le cascate che scendono rumorose da ripidi e verdi pendii. Basta non guardare il burrone al lato della strada...
Ma questa strada mi è conosciuta. Per me le sorprese iniziano alla frontiera cinese. Un ufficiale che, meraviglia, parla inglese ed è anche gentile, ci invita a lasciare i passaporti perché oramai la frontiera è chiusa, bisogna ritornare l'indomani.
Sorvoliamo! A cena si va in un ristorantino subito a fianco dell’albergo; pulito, proprietari cortesi che rispondono al mio tibetano, e nel menu, oltre altre, si trova la voce “polpette di carne”. Io non le prendo ma i miei amici le mangiano con gusto. Primo cambiamento in Tibet: si può mangiare anche non-cinese; va di moda avere un cuoco nepalese in cucina, che fornisce una grande varietà di piatti graditi al palato dei turisti.
L’indomani incominciamo a salire verso Shegar, il giorno dopo verso Shigatse. La strada è orrenda: quella sterrata ma battuta che conoscevo non esiste più; dappertutto buche enormi, fango, guadi. Quante volte la macchina entra in un fosso e non si sa se se ne uscirà. Ma lo sguardo sorridente sul volto dell'altrimenti impassibile “nonno”, il mio autista, è rassicurante.
Subito penso che il degrado della strada sia dovuto alla trascuratezza delle autorità locali, ma poi mi accorgo che ai bordi della strada decine di persone stanno lavorando incuranti della pioggia. Più avanti ruspe, non per tirare fuori eventuali Toyota impantanati, ma per lavori... I cinesi stanno asfaltando la strada! Incredibile lo spiegamento di uomini e di mezzi ad altezze superiori ai 4500 metri.
I risultati si vedono pochi giorni dopo sulla strada che dal villaggio di Nagartse sale verso il Kambala, a quasi 5000 metri. Pochi anni addietro spesso mi trovavo fermo per ore su questa strada devastata da inondazioni e frane; ora la macchina corre veloce su una strada a due corsie con guardrail ai bordi e striscia continua al centro che tutti rispettano. Il nonno mi guarda soddisfatto e mi dice “Ta Lhasa giopo yonghi re” (ora Lhasa arriverà veloce). Infatti un percorso che solo l’anno scorso era lungo e disagevole ora lo si fa comodamente in poche ore. Certo, qualcosa è cambiato anche sulla cima del passo: invece dei pittoreschi cumuli di terra ora le bandierine sono circondate dall’asfalto...
Colti da una sorta di diluvio in cima al passo, dopo uno sguardo veloce al magnifico lago ora avvolto da colori apocalittici, scendiamo verso la capitale. La strada è veloce in direzione di Lhasa. A poca distanza dalla capitale vedo sulla mia destra uno svincolo e un ponte enorme che attraversa il fiume. Chiedo che cos'è e mi viene detto che è la nuova strada per l’aeroporto, che vi giunge in 45 minuti, invece che un’ora e trenta. Rimango con la testa voltata per un po', sbalordito da quell’enorme opera fatta in poco più di un anno. Rimango a guardare proprio come quando qualche centinaio di anni fa si doveva vedere il Potala arrivando dalla stessa strada.
E ora "Lhasa la bella", "zepei Lhasa"come viene chiamata sui poster appesi nelle case e nei negozi in ogni angolo del Tibet. Vedere la valle interamente piena di costruzioni su questo poster fa temere il peggio; arrivare in macchina nella parte moderna della città pure. Ma il barkhor, il cuore della città, mi rassicura. L'atmosfera è rimasta, le stradine sono rimaste, le vecchie case sono rimaste tibetane. Intorno al barkhor sono sorti ristorantini, ambientini molto caldi e puliti, gestiti da giovani tibetani vestiti alla moda, molto disinvolti, che offrono piatti occidentali . Rimango sbalordito quando leggo sul menu “fonduta”. Dopo pochi minuti è sul tavolo. Ottima! Uscendo verso le 22 le strade sono ancora piene di vita, tibetani e cinesi sembrano passeggiare tranquillamente sotto le luci dei negozi, dei disco, dei ristoranti, insomma sembra quasi di trovarsi a Kathmandu.
Per la visita del Potala il flusso di visitatori viene regolato da orari fissi: bisogna chiedere il giorno prima a che ora il gruppo può entrare. Non è male questa innovazione; visitare il Potala con i suoi stretti corridoi quando era super affollato di pellegrini e turisti era una sorta di tortura.
Nelle strade non avverto tensione, non sento pericoli, non vedo molta polizia. Facilmente ci si procura un taxi a prezzo fisso per corsa. La Lhasa notturna offre di tutto.
Tornando verso l’albergo mi ritrovo nel viale sotto al Potala e mi accorgo che l’illuminazione è data da lampioni orrendi, di un incredibile kitsch. Fra un lampione e l’altro vedo un palma. Una palma? Una palma a Lhasa? S'! Di plastica, ad altezza naturale, con foglie e tanto di cocco pendente da uno dei rami. Beh, i governanti avranno voluto dare un tocco di colore in mezzo all’asfalto e all’ordine della città...
Quando ci dirigiamo verso Tsedang chiedo alla mia guida di prendere la nuova strada per l’aeroporto, quella che mi ha fatto voltare la testa arrivando a Lhasa.
Diritta, levigata, veloce ci conduce verso l’imbocco del tunnel. L’entrata è segnata da arcobaleni sgargianti, quasi fosforescenti. L’interno mi ricorda un tunnel europeo. Piazzole di soccorso, telefoni ad ogni centinaio di metri, aereatori enormi che pendono dalla volta. Manca solo il casello! Mi zittisco perchè voglio guardare attentamente tutto intorno a me e cercare d’immaginare cosa mi potrò aspettare fra pochi mesi quando ritornerò. Forse una strada asfaltata che unirà Lhasa con il Nepal...
Voi direte: "Perchè ti stupisci di queste cose che in Europa sono normali"? Perchè io torno in India, un paese dove il dinamismo mostrato dai cinesi è semplicemente inimmaginabile! Perchè, a parità di condizioni atmosferiche e ambientali, paragonando l'ambiente del Ladakh a quello del Tibet c'è un divario enorme. Amo il Ladakh con tutto il cuore, ma non posso negare che negli ultimi anni l'ambiente è degenerato, il fumo delle macchine rende l'aria irrespirabile, Leh è costantemente avvolta in una spessa coltre di inquinamento. Dove sta la differenza? Macchine migliori, benzina più pulita... Il livello di vita della gente pure è migliore in Tibet; non solo per i cinesi, anche per i tibetani. Fin negli angoli più remoti del Tibet, sull'altopiano a 4500 metri, la gente nomade vive in condizioni migliori dei suoi fratelli nel Changthang indiano.
Di questo sono rimasto scioccato. Io, che da dieci anni viaggio in Tibet, notando i cambiamenti francamente non posso dire di essere deluso dalle comodità di cui usufruiamo non solo noi o i cinesi, ma anche i locali. Certo è un Tibet differente da quello che ho conosciuto tempo fa. Forse le innovazioni possono essere criticate; i filo-tibetani emotivi e la propaganda tibetana a Dharamsala diranno senz'altro che i cinesi stanno stravolgendo il Tibet. Ma in fondo, quale parte del mondo è rimasta intatta, non contagiata dalla modernizzazione che, se guardiamo onestamente in fondo al nostro cuore, ci fa tanto comodo?

Un commento in “Il nuovo volto del Tibet
  1. Avatar commento
    sognatrice
    30/07/2006 23:30

    Pensavo di fare un viaggio in Tibet forse il prossimo anno addirittura risparmiando, ma se devo trovare tutta questa civiltà (o inciviltà!) cercherò di sicuro un'altra meta per sognare;

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