Nuova Zelanda: l'altra parte del mondo

Nuova Zelanda: Un viaggio attraverso l’altra parte del mondo

Contrariamente a quanto molti possano pensare, la Nuova Zelanda è un Paese completamente diverso dalla vicina Australia: la somiglianza tra i due Paesi è solo dal punto di vista culturale (se si parla di cultura dominante), data la loro storia recente piuttosto simile, ma tutto finisce lì. La Nuova Zelanda è un Paese geologicamente giovane, quindi “irrequieto”, mentre l’Australia è un Paese vecchissimo e quasi addormentato dal punto di vista geologico. Inoltre qui il clima è fresco e piovoso praticamente in tutto il Paese mentre l’Australia è per gran parte desertica.
Tuttavia anche chi si reca in Nuova Zelanda non deve fare l’errore di pensare che, essendo il Paese molto più piccolo del suo famoso vicino, possa essere visitato bene per intero con un solo viaggio, a meno che non ci si fermi diversi mesi. Questo è uno dei motivi per i quali sono ritornato in questa splendida terra. Questo diario racconta il mio secondo viaggio in NZ, concentrato soprattutto sull’isola del sud, dopo che il primo era stato dedicato principalmente all’isola del nord.
Programmare  sin dall’inizio due viaggi in questo lontano Paese, magari a qualche anno di distanza l’uno dall’altro, è senza dubbio un’ottima soluzione per evitare di correre un po’ troppo e rischiare di vedere poco e male il Paese: entrambe le isole meriterebbero infatti almeno tre o quattro settimane per una visita che si possa definire soddisfacente, data l’enorme quantità di luoghi interessanti dal punto di vista soprattutto naturalistico.  Va inoltre tenuto in considerazione il tempo spesso instabile e piovoso, che impedisce a volte di fare tutto ciò che si è programmato.
14/15 dicembre
Partenza da Venezia con volo Lufthansa via Francoforte – Singapore alle ore 18.00. L’itinerario richiede circa 24 ore di volo, alle quali vanno sommate le ore di attesa nei vari scali. E’ un viaggio infinito, davvero stancante e proprio per questo si rivela una vera manna l’upgrade che ci riserva la Lufthansa nella tratta Francoforte – Singapore. Viaggiamo in Business class e questo sicuramente ci aiuta ad arrivare a destinazione, Christchurch, decisamente meno stanchi, anche se il fuso orario di dodici ore è certamente difficile da digerire anche per persone allenate ai viaggi intercontinentali.
16 dicembre
La differenza di fuso orario ci fa letteralmente saltare un giorno, ed arriviamo così a Christchurch alle 10.25 del 16 dicembre. Le operazioni doganali ci ricordano che siamo arrivati in un Paese dove le regole della quarantena sono ferree: oltre a vedere parecchi cartelli che raccomandano di non portare cibo fresco, dobbiamo dichiarare che abbiamo in valigia scarponcini da trekking. Ci invitano a fare una coda a parte, assieme ad altri che hanno anche attrezzature da campeggio, tutto materiale che va dichiarato. Una gentilissima agente della dogana prende in consegna gli scarponi e ce li restituisce poco dopo, con la suola ancora umida, dentro un sacchetto di plastica. Sono stati lavati con una soluzione disinfettante per evitare qualsiasi possibile contagio di microorganismi presenti in terriccio proveniente da oltreoceano. Benvenuti in Nuova Zelanda!
Abbiamo prenotato un’auto per tutto il periodo con la Ace car rental, che non ha l’ufficio direttamente in aeroporto ma a pochi minuti di strada. La cosa non costituisce un problema, perché è sufficiente uscire dal terminal e percorrere poche decine di metri per ritrovarsi ad una fermata dove uno dopo l’altro arrivano dei piccoli pulmini con le insegne dei vari rent a car. Una decina di minuti e arriva anche il nostro che ci porta agli uffici Ace. Poche formalità, dato che l’auto era già prenotata da tempo e ci viene consegnata una Nissan con cambio automatico. Il noleggio per tutto il periodo (20 giorni in totale) ci costerà poco più di 700 Euro, meno di 40 Euro al giorno, incluse assicurazioni e off (lasceremo l’auto a Auckland): davvero conveniente, anche se avremo modo di vedere che il Paese, in generale, non è poi così economico per noi Europei!
Questa prima giornata non è particolarmente impegnativa: non sapendo se saremmo arrivati senza problemi, e soprattutto tenendo conto che non saremmo stati molto in forma, ho preferito prenotare un hotel ad Arthur’s Pass, un passo alpino a solo 2 ore e mezzo di auto da Christchurch.
Abbiamo deciso di saltare la città (come altre in questa isola del sud)  non solo perché siamo interessati a fare più natura possibile, ma anche perché l’abbiamo già visitata durante il nostro viaggio precedente, da qui eravamo ripartiti per l’Europa.  Il nostro itinerario prevede dunque subito il passaggio dalla costa est alla costa ovest e Arthur’s pass si trova proprio al centro dell’isola, sulla direttrice est-ovest. La prima parte del percorso è piuttosto piatta e monotona: ci fermiamo a cambiare soldi in un piccolo villaggio e a comprare un po’ di ciliegie (qui le stagioni sono rovesciate e quindi dicembre equivale al nostro giugno!) da un venditore lungo la strada.  Abbiamo modo così di constatare subito quanto siano costose certe cose da queste parti: un rapido calcolo e ci rendiamo conto che le ciliegie costano 18 Euro al chilo! Primizie, certamente, ma primizie molto care! Dopo circa un’ora la strada comincia a salire e il paesaggio cambia, i campi coltivati lasciano spazio a dolci pendii ricoperti di vegetazione, soprattutto felci, così comuni da far capire al visitatore perché la felce sia uno dei simboli della Nuova Zelanda, riprodotto persino sulla copertina del Passaporto! Le fermate per fare qualche foto si susseguono una dopo l’altra e questo aiuta anche mia moglie, che più di me soffre i fusi orari, a tenersi sveglia. Poco prima di arrivare a destinazione però, quando mi fermo entusiasta ad ammirare una distesa di lupini di montagna che ornano le sponde di un torrente impetuoso, mi rendo conto che mia moglie non è scesa con me ad ammirare tanta bellezza: colta letteralmente da una crisi narcolettica sta dormendo alla grande. Per sua fortuna durante il viaggio troveremo nei giorni successivi tappeti di fiori anche più belli. Arriviamo al nostro motel verso le 4.30 del pomeriggio: il tempo è cambiato e comincia a piovigginare. Mia moglie decide di dormire un paio d’ore, fino all’ora di cena ed io, visto che la finissima pioggerellina mi impedisce di farmi un giro, ne approfitto per sistemare i bagagli: dispongo con criterio macchine fotografiche, obiettivi, schede, cavalletto, cartine, impacchettati per il viaggio con la sola logica di salvare lo spazio.
Ceniamo presto al ristorante del motel, per poter andare a dormire presto e alzarci riposati il mattino dopo.
17 dicembre
Benché ci siamo addormentati la sera precedente prima delle 21.00 dormiamo come sassi fino alle 7.00 passate e decidiamo quindi di fare colazione al motel, non lungo la strada come avevamo inizialmente previsto.  Partiamo dunque verso le 8.00 per la nostra prima destinazione: le pancake rocks. Lungo la strada, non appena incontriamo la costa ovest, ci fermiamo però in un posto curioso: il punto di partenza della coast to coast race, una delle tante manifestazioni sportive un po’ strampalate tipiche di questo Paese. La Nuova Zelanda è tra l’altro la patria degli sport estremi e questa corsa ne è un chiaro esempio. E’ una corsa massacrante con partenza dalla costa ovest del Paese e l’arrivo sulla costa est: prevede  36 chilometri da percorrere a piedi (di cui 33 durissimi di attraversamento delle alpi) 140 chilometri  in bicicletta (tre tappe da 55, 15 e 70 chilometri) e 67 di discesa in kayak. La corsa è aperta a tutti coloro che hanno compiuto 18 anni, ma alla portata dei soli veri atleti, dato che viene portata a termine dai più preparati in 11-12 ore.
Dopo la foto di rito alla spiaggia di partenza e aver percorso simbolicamente  i primi 300 metri dei 243 chilometri previsti, già con una buona dose di fiatone, riprendiamo la strada verso le pancake rocks: arriviamo accolti dal sole che gioca a nascondino con le nuvole e appare di tanto in tanto. Le rocce silicee stratificate, che somigliano a delle crespelle (pancakes, appunto) impilate una sopra l’altra, sono visitabili grazie ad un percorso ad anello con diversi punti panoramici. Le visitiamo con calma, anche perché il sole si fa vedere sempre più spesso, regalandoci scorci di splendidi panorami sull’Oceano turchese, e dopo un veloce pranzo al bar di fronte all’ingresso, (33 dollari alla tavola calda per due) partiamo verso sud, diretti alla zona dei ghiacciai.
Dopo diverse soste in punti panoramici lungo la costa decisamente scenografica, arriviamo alla cittadina di Franz Joseph alle 17.30. Prendiamo rapidamente la camera al Glacier motel e, dato che non piove, decidiamo di andare subito verso il ghiacciaio.
Abbiamo visitato questo luogo nel nostro viaggio precedente e siamo stati sfortunatissimi: tre giorni di pioggia ininterrotta! Proprio per questo decidiamo di approfittare del fatto che non piove. Dopo pochi chilometri, parcheggiamo l’auto e prendiamo il sentiero che va verso il ghiacciaio. Con nostra sorpresa scopriamo che in questi ultimi sei anni il ghiacciaio si è ritirato parecchio: ce lo ricordavamo  all’imbocco della valle, dove terminano le pendici del monte,  e ora lo vediamo almeno 200 metri più su. Arriviamo proprio alla fine della valle, mentre il tempo sta peggiorando e comincia a piovigginare. Torniamo quindi sui nostri passi, fermandoci spesso ad ammirare il paesaggio, le cascate, le rocce colorate dai licheni.
Torniamo in Paese, e ceniamo al ristorante “88 Asian Fusion” mangiando discretamente per 66 dollari in due. Dopo un paio d’ore di pioggerellina, rispunta il sole ed incrociamo le dita per il giro in elicottero sul ghiacciaio che abbiamo prenotato per il giorno dopo….
18 dicembre
Il volo è prenotato per le 10, ma quando ci alziamo ci rendiamo conto che il cielo è coperto e non sentiamo alcun rumore di elicottero. Brutto segno. Dopo colazione andiamo all’ufficio della Glacier helicopters per udire la sentenza che già ci immaginavamo: tutti i voli sono sospesi. Ne prenotiamo uno per il pomeriggio e uno per la mattina dopo (per fortuna non sono pieni): se dovessimo partire nel pomeriggio, ci dicono che possiamo cancellare quello del mattino seguente.
Visto che ha ricominciato a piovere, ne approfittiamo per andare a visitare il West Coast Wildlife center, uno dei centri di riproduzione dei kiwi. La visita è in parte guidata, e ci permette di raccogliere parecchie informazioni sui kiwi, molte delle quali nuove anche per noi che siamo appassionati di ornitologia.  I centri di riproduzione dei Kiwi sono stati una scelta pressoché obbligata per salvare i kiwi dall’estinzione: uccello non volatore, evolutosi in un ambiente privo di predatori, non ha sviluppato nessuna tecnica di difesa delle uova e dei nidi: di conseguenza l’introduzione da parte dell’uomo (sempre lui!) di cani, gatti e del famigerato opossum dalla vicina Australia ha avuto effetti devastanti sul numero dei kiwi. Basti pensare che in natura la percentuale di sopravvivenza dei kiwi fino al primo anno è del 5%, mentre nei centri di riproduzione è di oltre il 75%! Dunque, cosa fanno i ranger dei centri di riproduzione? Localizzano i nidi, sequestrano l’uovo ai genitori, e lo incubano: il piccolo nato resterà nel centro fino a quando peserà un chilo (circa un anno) a quel punto viene rilasciato perché in grado di difendersi da solo, grazie alle possenti zampe, dall’attacco dei predatori. Ai maschi viene messo un rilevatore di posizione, perché sono loro che covano le uova e servirà eventualmente per localizzare un nuovo nido. Non è un caso che siano i maschi a covare le uova: le femmine di kiwi detengono un poco invidiabile primato,  dato che depongono l’uovo più grande al mondo in rapporto alla loro corporatura.  L’uovo occupa oltre un terzo del suo corpo, ed è stato calcolato che lo sforzo che compie per deporlo, sia pari a quello che farebbe una donna per partorire un bambino di 6/8 anni. Credo non servano ulteriori commenti, specie per le donne! Mentre lei si riprende dallo sforzo immane, il maschio si occupa della cova.
Si calcola che ogni uovo di kiwi che passa per un centro di riproduzione costi al contribuente Neozelandese 2500 dollari, ma questo è il solo modo per evitare l’estinzione di un animale il cui habitat si è già paurosamente ristretto.
Usciamo verso le 12.00, per constatare che il tempo è sempre brutto. Pranziamo di fronte alla sede della società di elicotteri e, dato che non c’è nulla da fare per il volo del pomeriggio, partiamo quindi per vedere, per quanto possibile, l’altro grande ghiacciaio, il Fox glacier, a circa 30 chilometri di distanza.  Anche qui arriviamo a poca distanza dalla lingua estrema del ghiacciaio percorrendo una piacevole passeggiata nel sottobosco: ne approfittiamo per fare alcune foto di fiori, muschi e felci bagnati dalla pioggia. Purtroppo c’è una brutta foschia che non ci permette di godere appieno della vista sul ghiacciaio e già cominciamo a pensare che anche questa seconda volta non riusciremo a vedere i ghiacciai col sole. L’indomani mattina dovremo partire al massimo verso metà mattinata, e se il tempo è brutto….
19 dicembre 2013
Quasi non riusciamo a crederci: cielo sgombro di nubi. Ci fiondiamo con largo anticipo, dopo colazione, in Paese. Ci confermano che i voli ci saranno, finalmente! Abbiamo scelto il più lungo e costoso (circa 300 Euro per 40 minuti, atterraggio sul ghiacciaio incluso), ma ne vale assolutamente la pena!
Sul nostro elicottero bianco e rosso siamo in 5 e io vengo scelto per sedere davanti con il pilota, ulteriore fortuna. Il nostro pilota, quando scopre che siamo italiani, ci fa vedere il suo casco sponsorizzato, “ITALIANTARTICA”: ci dice che è appena tornato dalla base Italiana in Antartica dove ha lavorato per alcuni mesi. Gli chiediamo se ha imparato qualche parola di italiano e lui ci risponde in Italiano quasi perfetto “Non sbattere la porta”. Non indaghiamo sul perché ha memorizzato cosi bene la frase!
Il giro è di quelli che lasciano il segno: già volare in elicottero è una sensazione che sia io che mia moglie adoriamo, farlo al di sopra di due possenti ghiacciai, con il sole del mattino che splende e si riflette sul ghiaccio, è una cosa da brividi. Atterriamo in quota, sopra il ghiaccio, e i 10 minuti che trascorriamo vagando sulla coltre bianca volano. Prima di tornare voliamo di fronte al Monte Cook, totalmente sgombro da nubi, 3000 metri di pura bellezza e maestosità. Il volo, tanto desiderato per anni, si è rivelato addirittura al di sopra delle aspettative!
Ripartiamo dal paese verso le 10.30: oggi sarà una giornata di trasferimento, ma anche le giornate di trasferimento in NZ sono ricche di piacevoli angoli dove sostare e godersi panorami mozzafiato. Percorriamo infatti la strada che potremmo coprire in 5 ore senza fare soste, in quasi il doppio del tempo e arriviamo a Te Anau dopo innumerevoli fermate per contemplare le meraviglie della natura: fiori, scarpate, cascate, boschi, fiumi, ogni angolo riserva una nuova sorpresa.  
Arriviamo finalmente quasi alle 20 al Keiko b&b, un simpatico b&b gestito da un neozelandese, Kevin. con moglie Giapponese, Keiko. Davanti alla casa in stile anglosassone un piccolo giardino Giapponese e anche gli interni della casa sono arredati con oggetti Giapponesi. La coppia è simpatica e disponibile e, seguendo le loro indicazioni su dove andare a cena, optiamo per il ristorante “Fat Duck”: 50 dollari in due per una cena discreta ma non memorabile.
20 dicembre 2013
Colazione alle 6.15, perché alle 7.00 arriva l’autobus che ci preleva per portarci all’attracco del lago Manapouri. Anche oggi il tempo sembra graziarci, perché il cielo è limpidissimo: considerato che siamo nella regione più piovosa della NZ possiamo davvero dirci fortunati. La giornata di oggi è tutta dedicata alla crociera all’interno di uno dei due più famosi fiordi del Paese, il Doubtful Sound. Ci si impiega l’intera giornata, perché raggiungerlo non è così semplice, non ci sono strade che portano fino a lì, perlomeno strade collegate al resto del Paese. Occorre prima navigare 50 minuti lungo il lago Manapouri e quindi percorrere per un’altra mezz’ora uno sterrato che porta fino all’attracco del Doubful e da lì si arriva fino al mare percorrendo il fiordo in tutta la sua lunghezza. Quando sbarchiamo dalla prima imbarcazione ci fermiamo a visitare la grossa centrale idroelettrica: scopriamo così che se esiste una strada sterrata che collega il lago al fiordo è grazie proprio a questa centrale: serviva a portare i materiali che arrivavano via mare.
Costruita nel 1971, è la più grande centrale idroelettrica del Paese: per dare una idea dell’immane sforzo richiesto per la costruzione, basti pensare che la centrale si trova 230 metri sotto il lago (sfrutta dunque proprio l’energia del salto dell’acqua, quando vengono aperte le paratie di collegamento)  ed occorre percorrere un tunnel sotterraneo di 10 chilometri per raggiungerla, nelle viscere della terra.
Terminata la visita, percorriamo quindi con un piccolo bus la strada sterrata che ci separa dal fiordo, facendo un paio di soste in punti panoramici. Il sole continua a premiarci e tutta la crociera tra le ripide e spettacolari pareti del fiordo si svolge con il bel tempo. Avvistiamo dei delfini (purtroppo lontani) e ci avviciniamo spesso ad altissime e spettacolari cascate.
La crociera dura poco più di tre ore e nel primo pomeriggio comincia il percorso a ritroso. Rientriamo a Te Anau decisamente soddisfatti: consci del fatto che qui piove almeno 4 giorni su cinque avremmo messo la firma per trovare bel tempo solo in uno dei due fiordi che intendiamo visitare qui ma, come si suol dire, l’appetito vien mangiando e speriamo anche per domani….
A proposito di mangiare, la nostra attenzione quella sera viene attratta da una pizzeria che espone all’ingresso una fiammante alfa romeo originale decapottabile. Benché non sia nelle nostre abitudini cercare ristoranti Italiani quando siamo all’estero cediamo alla tentazione, anche per vedere se la pizza è commestibile o è il solito surrogato di stampo anglosassone. Restiamo piacevolmente colpiti non solo dalla Pizza, che si rivela quasi come una pizza Italiana, ma anche da Nadine, la simpatica cameriera Italiana che ci dice di essere lì con il working holiday Visa, un visto provvisorio che la Nuova Zelanda concede ai giovani al di sotto dei 31 anni, perché facciano una esperienza di studio e lavoro nel Paese. Nadine è una dei tanti giovani intraprendenti che hanno preso la palla al balzo. Scopriamo con una certa curiosità che solo il proprietario del locale è Neozelandese, tutto il personale, pizzaioli compresi, sono Italiani e, alquanto furbescamente, il proprietario pubblicizza la cosa, scrivendolo in una lavagna esposta all’esterno del locale e indicando la città di provenienza di cuoco e pizzaiolo. Un ottimo esempio di abilità imprenditoriale neozelandese. 
21 dicembre
La giornata inizia con una ottima colazione Giapponese preparata da Keiko. Pur amanti della cucina Giapponese, non andiamo pazzi per la colazione secondo la tradizione del Sol Levante, ma questa si rivela davvero molto buona. Ha piovuto tutta la notte, e pioviggina ancora, ma Kevin ci rassicura dicendo che entro le 10 il tempo migliorerà. Ci dice inoltre che siamo fortunati, perché quando piove così tanto durante la notte si formano decine di cascate che vedremo durante il tragitto che ci separa da Milford Sound, il fiordo più famoso della Nuova Zelanda. Rincuorati, facciamo un po’ di spesa al locale supermercato e ci avviamo verso il fiordo, dove dovremo imbarcarci alle 16.00. Abbiamo parecchio tempo per percorrere i 120 Km che ci separano dalla destinazione ma le fermate saranno così tante che ce la faremo appena. Kevin aveva ragione: dopo un primo tratto non particolarmente attraente cominciamo a costeggiare ripide pareti di roccia dalla quale precipitano altissime e spettacolari cascate. Un panorama mozzafiato e decisamente fotogenico. Durante una delle innumerevoli soste facciamo anche il nostro primo incontro con il Kea, l’unico pappagallo al mondo a vivere in un ambiente montano. Estremamente intelligente, l’animale avvicina le auto che si fermano in cerca di cibo e si lascia a sua volta avvicinare con una certa confidenza.  
Alla fine ne avvistiamo ben 8! Arriviamo alla fine della strada verso le 14.30, in tempo per un rapido spuntino al bar di fronte al moderno terminal da dove partono le crociere. Il cielo nel frattempo si è sgombrato quasi totalmente dalle nubi, come previsto da Kevin, anche se un po’ in ritardo rispetto all’ora da lui pronosticata, e la vista sull’imbocco del Milford è semplicemente straordinaria. Noi abbiamo scelto la crociera notturna, che prevede anche il pernottamento, non solo per goderci al meglio il fiordo ma, nelle intenzioni iniziali, c’era anche la speranza di aumentare le probabilità di trovare uno sprazzo di cielo sereno. Lo troviamo fin dall’inizio! Ci imbarchiamo con calma, ci viene assegnata la nostra cabina, e non appena la nave, simile ad un veliero, chiamata Milford mariner salpa, siamo sul ponte a goderci il panorama. Benché abbia smesso di piovere ormai da qualche ora le cascate che precipitano sul fiordo dall’alto della montagna sono ancora abbondanti ed impetuose e lo spettacolo è unico, anche perché, essendo le pareti del fiordo a picco sul mare, il capitano riesce sapientemente a portarci a pochi metri dalle pareti di roccia, praticamente sotto la cascata. Siamo spesso costretti ad arretrare per non essere completamente bagnati. La navigazione procede per circa un’ora, dopodiché la nave getta l’ancora in una  insenatura riparata e ci imbarchiamo in un piccolo gommone che ci porta a fare un giro ulteriore lungo la costa alla ricerca di pinguini che però non vediamo. Qualcuno sceglie di farsi un giro in kajak, altri addirittura un tuffo nelle gelide acque del fiordo. Quella sera ci aspettiamo una cena frugale ed invece ci troviamo davanti ad un buffet davvero sorprendente in fatto di varietà e qualità. Ovviamente ne approfitto! Siamo seduti al tavolo con una simpatica coppia di Irlandesi con la quale scambiamo due chiacchiere e la vita mondana di bordo termina con una proiezione di alcune foto con descrizione di flora e fauna locale da parte di un ragazzo dell’equipaggio. A letto presto, nella speranza che l’alba del giorno dopo sia valorizzata da un’altra bella giornata.
22 dicembre
Mi sveglio e do un’occhiata fuori prima delle 6, ma non vedo una gran luce, concludo che il tempo debba essere brutto. La colazione viene servita per le 7.00 e ci alziamo per tempo, ma quando usciamo dalla cabina ci rendiamo conto che mi ero sbagliato sul tempo: ritenevo fosse nuvoloso perché il fiordo, circondato da alte montagne, era completamente in ombra, ma in realtà il cielo sopra di noi è di nuovo completamente sgombro da nuvole. Rapida colazione e alle 7.30 riprende la navigazione, per quell’ora siamo sul ponte. Navighiamo fino in mare aperto, e una volta usciti ci rendiamo davvero conto di quanto riparato sia il fiordo. Lì dentro la superficie del mare era liscia come l’olio, qui fuori tira un vento freddissimo ed il mare è leggermente mosso. La parola “leggermente” qui è un eufemismo, a tratti riesce difficile stare in piedi senza tenersi da qualche parte. Dopo l’avvistamento di alcune foche e diversi delfini, rientriamo nel fiordo e lo navighiamo al contrario. Ora il sole si è finalmente alzato oltre le montagne e la vista sul fiordo è impareggiabile. Il canale, che difficilmente si riesce a scorgere dal mare aperto (Cook infatti ci passò davanti senza vederlo) raggiunge in alcuni tratti anche la profondità di 225 metri e l’acqua dolce che vi precipita dentro dopo una giornata di pioggia è talmente tanta che in media i primi 5 metri sono di acqua quasi completamente dolce. Lungo il percorso si trovano decine di cascate e tre di esse potrebbero essere classificate le più alte del mondo, più del famoso salto Angel, se non fosse per il fatto che due toccano in alcuni punti la roccia (quindi non son classificate come salto unico) ed una non è costante. Riusciamo comunque a vederle “attive” tutte e tre e sono davvero uno spettacolo nello spettacolo.
Attracchiamo poco dopo le 9.00 e, nel breve tratto che porta al parcheggio, ci godiamo la vista del Mitre Peak, il simbolo del Milford (un picco di forma quasi perfettamente piramidale), che si specchia perfettamente nell’acqua ferma e illuminata dal sole. Una vista rara e spettacolare in queste condizioni.
Riprendiamo quindi la via verso te Anau, fermandoci a visitare alcuni punti interessanti trascurati all’andata, tra cui il “chasm” una gola spettacolare scavata dall’acqua torrenziale che precipita tra le rocce modellate dalla forza dell’acqua. Nel parcheggio troviamo altri due Kea che una volta tanto si allontanano dalle auto e si posano su un albero. Almeno così possiamo vederli nel loro ambiente naturale. Ripassando per te Anau ci fermiamo qualche minuto al b&b di Keiko e Kevin dove ritiriamo i bagagli che avevamo lasciato lì e proseguiamo verso sud.
Il paesaggio cambia notevolmente ed ora attraversiamo campi coltivati e prati dove pascolano numerose le pecore. Inutile dire che questa è la presenza più frequente: nel 1982 la Nuova Zelanda ha raggiunto il record di 22 pecore per ogni abitante, ora sono poco più di 8, causa la crisi e la minore convenienza economica ad allevare gli ovini.
La nostra nuova  meta è Bluff, all’estremo sud dell’isola meridionale, dove domattina prenderemo il traghetto per la Stewart  Island. Man mano che ci spostiamo verso sud il vento diventa sempre più forte e ci accorgiamo che è una caratteristica costante osservando gli alberi: tutti quelli più esposti sono piegati dalla stessa parte! La giornata si mantiene bella e ci permette di fare molte altre soste per ammirare il panorama. Arriviamo a Bluff verso le 6, per scoprire che l’hotel dove avevamo prenotato, il Land’s end, è in restauro per cambio gestione e non hanno le camere: fortunatamente ci hanno prenotato una camera al vicino Foveaux Hotel, gestito da una simpatica signora americana, ma di qualità molto modesta. Poco male, Bluff è solo una tappa di transito. Ceniamo al ristorante del Motel e andiamo a dormire presto, domani sarà un’altra giornata intensa.
23 dicembre
Colazione molto leggera, visto che dobbiamo affrontare i marosi dell’ Oceano. Partiamo alle 9.15 sotto una leggera pioggerellina, ed il mare si rivela piuttosto mosso. Oggi raggiungeremo il punto più a sud del nostro viaggio. La Stewart Island è la terza isola per grandezza della nuova Zelanda, ovviamente enormemente più piccola dell’isola del sud e dell’isola del nord. La capitale è Oban, un sonnacchioso villaggio che occupa per intero una splendida baia a mezzaluna, nella quale sbarchiamo verso le 11.00. Ci aspetta un simpatico signore che ci accompagna con il pulmino in cima ad una collinetta che domina la baia, al Stewart Island Lodge. Ottima scelta, il lodge è molto bello e la vista dalla camera ancora più bella. Peccato che sia nuvoloso…
Qui abbiamo già le nostre attività prenotate. La prima sarà forse il tour più atteso del viaggio, quello notturno alla ricerca del Kiwi. Dopo aver preso possesso della camera, andiamo a piedi al centro del villaggio, confermiamo agli organizzatori del tour che siamo arrivati e quindi andiamo a pranzo al South Seas Hotel. Nel pomeriggio andiamo a caccia di uccelli: tentiamo l’avvistamento del martin pescatore senza successo, in compenso vediamo bene da vicino il famoso Tui, un bellissimo uccellino autoctono della Nuova Zelanda. Al ritorno, prenotiamo il pranzo all’unico supermercato di Oban per l’escursione del giorno seguente e dopo cena, sempre al South Seas Hotel, ci prepariamo per l’uscita notturna. 
La partenza è prevista alle 8.30 di sera: andremo in una isola disabitata, dove i kiwi non vengono disturbati, non hanno nessun predatore e non temono l’uomo.  Serve circa un’ora di navigazione per arrivare a destinazione. Siamo un gruppo di 9 persone e i due responsabili, prima di sbarcare, ci consegnano delle pile che però ci raccomandano di usare solo per illuminare il sentiero e di non puntare contro i kiwi, sensibili alla luce. Sbarchiamo che è già buio e ci inoltriamo nella foresta. Ci hanno già informato che il luogo dove è più facile l’avvistamento è la spiaggia nel versante opposto che raggiungiamo in 10/15 minuti di cammino. L’avvistamento non si fa attendere: appena usciamo dal boschetto notiamo quasi subito una grossa femmina, a circa una trentina di metri di distanza. Solo la nostra guida punta la pila in quella direzione, facendo attenzione ad illuminare la zona intorno alle zampe, evitando quindi di puntare sugli occhi.  Non si può usare il flash, quindi tutti rinunciano alle foto, ma io ci provo, ho una macchina fotografica professionale e alzo gli iso fino a 25.000.  Data la scarsità di luce non riesco a mettere a fuoco automaticamente, ma con la messa a fuoco manuale riesco a scattare alcune foto che si riveleranno perlomeno decenti. Il kiwi non ha paura, si comporta come se noi fossimo inesistenti, e abbiamo tutto il tempo di goderci la vista. Zampetta incurante sulla spiaggia, razzolando come un pollo per scovare piccoli crostacei nascosti. Ogni tanto affonda il lungo becco per annusare: il kiwi è uno dei pochi uccelli dotata di un forte senso dell’olfatto. Vederlo è molto emozionante anche perché sappiamo che non è facile: persino nei cosiddetti “sanctuary”, dove sono tenuti in cattività, la luce è così bassa che si nota solo una sagoma scura. Qui la luce, grazie alla pila puntata molto vicina ma non diretta, lo si vede molto meglio ma, soprattutto, è nel suo ambiente naturale! Sappiamo bene che sono pochissime le persone che hanno il privilegio di vederlo in libertà e abbiamo scelto di includere Stewart Island nel nostro itinerario proprio per godere di questo privilegio!
Avvistiamo in seguito anche un maschio, un po’ più lontano, ma non provo neppure a fotografarlo, lo osservo assieme agli altri in religioso silenzio. Torniamo alla barca che sono quasi le 23.00 ovviamente soddisfattissimi per l’esito dell’escursione. Era uno dei must per i quali avevamo deciso di venire nuovamente in Nuova Zelanda e possiamo dire: Missione compiuta!
24 dicembre
Oggi abbiamo una escursione della durata di un giorno intero: navigheremo fino alla vicina Ulva Island, un paradiso dei birdwatchers: sarebbe anche un paradiso se non fosse che il tempo è infernale: piove e pioverà per tutto il giorno. Fortunatamente la vita animale non si ferma per questo e percorrendo i vari sentieri riusciamo a fare parecchi avvistamenti, ma dobbiamo spesso guardare verso l’alto e, dato che io porto gli occhiali, non è davvero il massimo della comodità. Tuttavia, grazie alle conoscenze e all’abilità nell’avvistamento della nostra guida di chiara origine maori (una vera appassionata) la mattinata passa velocissima e arrivano le 14.30 in un batter d’occhio. La nostra guida si rivela ancora più entusiasta quando scopre che io, mia moglie e un americano del gruppo siamo appassionati di ornitologia, e passiamo tutta la mattinata a parlare fitto fitto di uccelli autoctoni neozelandesi, di cui l’isola è ricca. Lei si rivela una fonte inesauribile di informazioni, una vera manna per le nostre orecchie. Alle 14.30 la barca viene a raccoglierci, nuovamente per portarci ad avvistare gli albatros ed altri uccelli marini. Purtroppo continua a piovere, il mare è grosso e molti (inclusa mia moglie) stanno male. Per un breve periodo sono costretto anche io a sedermi all’aperto perché non sto benissimo, ma fortunatamente tutto passa in mezz’ora e posso godermi la vista di enormi quantità di albatros che approcciano la barca. Animali stupendi, i più grossi uccelli marini esistenti al mondo, con una apertura alare impressionante.  Non mancano ovviamente gabbiani e varie specie di petrelli, uccelli simili ai gabbiani per dimensioni e abitudini, ma con il becco più somigliante a quello degli albatros.
Rientriamo nuovamente sotto la pioggia, e dopo una doccia ristoratrice torniamo nuovamente al Seven Seas, visto che si è rilevato davvero un ottimo ristorante. Dato che è la cena della vigilia di Natale ci teniamo a mangiare bene! Durante la cena passa una ragazza che ci mostra una stupenda aragosta: vende i biglietti della lotteria di beneficenza, e il premio è proprio l’aragosta: acquistiamo un biglietto che intestiamo alla nostra cameriera, molto simpatica, ma non sapremo mai se ha vinto!
25 dicembre.
Giorno di Natale da passare principalmente in macchina, visto che è una tappa di trasferimento. Prendiamo il traghetto delle 8.00 del mattino, semivuoto, e anche la cittadina di Bluff, dove attracchiamo alle 9.30, sembra una città fantasma. Tutti tappati in casa per Natale, complice anche il brutto tempo. Poco male, prendiamo la nostra auto e partiamo verso la Otago penisola. Ci illudiamo di trovare un buon posto per fare colazione alla vicina Invercagill, ma è una delusione: è davvero tutto chiuso e facciamo una scarsissima colazione al bar di un distributore.
Proseguiamo facendo ben poche soste visto il tempaccio e arriviamo verso le 4 del pomeriggio alla penisola e al nostro Motel, gestito da un Inglese gentilissimo e prodigo di informazioni. Ben sapendo che a Natale è tutto chiuso, abbiamo prenotato apposta in un motel dotato di cucinetta (anche se qui quasi tutte le camere ne sono dotate) perché sappiamo che per cena dovremo arrangiarci: in tutta la penisola ci sono due ristoranti, entrambi chiusi oggi e abbiamo provveduto nei giorni precedenti a fare qualche provvista!
Lasciato il bagaglio, partiamo subito verso il nord della penisola, con l’intenzione di visitare anche questa volta, come 6 anni prima, il centro dove si possono osservare i pinguini degli antipodi  da vicino. E’ un centro privato, molto ben organizzato, con dei ranger che accompagnano le persone attraverso dei veri e propri camminamenti interrati al 90%,  scavati nelle vicinanze dei nidi dei pinguini. Così i pinguini, in totale libertà nel loro ambiente, non vengono disturbati, pur essendo avvicinati anche a pochi metri. I pinguini degli antipodi, o pinguini occhi gialli, sono i più rari al mondo. Si stima che siano circa 3000 esemplari di cui 800 circa vivono nella Otago penisola, il luogo dove è più facile vederli. Contrariamente alle altre specie di pinguini non sono gregari quindi non si vedono mai in gruppo ma sempre da soli, al massimo in coppia. Nidificano tra i cespugli, con nidi solo parzialmente interrati, per cui è facile scorgere anche i piccoli. I responsabili del centro hanno sapientemente piazzato delle piccole casette in legno in alcuni posti strategici, che sono state presto occupate da alcune giovane coppie, le quali tendono ad usare il nido per tutta la vita. Dunque i più vicini alle trincee di osservazione non sembrano neppure essere infastiditi dai “clic” delle macchine fotografiche, già classificate dall’abitudine come un rumore non foriero di pericoli. Ovviamente vanno osservati nel massimo silenzio, dato che molti sono a non più di tre o quattro metri di distanza! Il fatto che generalmente si piazzino spesso  alla soglia del loro nido e non dentro, facilita ulteriormente l’osservazione.
Consiglio vivamente la visita di questo centro privato, l’unico che, grazie a queste opere di scavo e mimetizzazione permette di osservare gli animali sia nella sottostante spiaggia che vicini al nido, sempre scelto liberamente dalle coppie di pinguini. Rientriamo in camera per prepararci la cena: spaghetti al tonno. Non è esattamente una classica cena di Natale ma anche le nostre attività odierne non sono state prettamente natalizie… ceniamo presto perché alle 20.30 si riparte verso nord, verso la spiaggia di fronte ad un centro di osservazione di albatros (che questa volta saltiamo perché già visitato nel viaggio precedente) dove sappiamo che al crepuscolo decine di blue penguins, la specie più piccola di pinguini al mondo, escono dall’Oceano al tramonto per correre verso i nidi tra le rocce. Ci posizioniamo su di una piattaforma artificiale, un po’ rialzata dal terreno per non ostacolare la corsa dei pinguini, e attendiamo. Purtroppo piove e siamo costretti ad attendere un’oretta sotto l’acqua prima di vederli apparire. Arrivano ad ondate e sono buffissimi: con la loro andatura barcollante si fermano ogni tanto per scrollarsi con rapidi movimenti l’acqua di dosso, si guardano attorno circospetti, e quindi continuano la loro marcia verso il nido.
I blue penguins attendono sempre il calar del buio prima di rientrare ai loro nidi perché, essendo di dimensioni molto ridotte, anche gli adulti vengono predati da parecchi animali diurni, inclusi i rapaci. La protezione del buio significa per loro maggiore probabilità di sopravvivenza.  E’ ormai molto buio, quindi è impossibile anche per me fotografare senza flash, nonostante il cavalletto: un peccato perché è davvero uno spettacolo divertente e spettacolare, ma mi limito a qualche rapido scatto in condizioni precarie e poi lascio la macchine coperta da un telo antipioggia e girello per la piattaforma con gli altri per godermi lo spettacolo!
Ce ne andiamo per ultimi, come d’abitudine, e rientriamo in camera a mezzanotte passata, bagnati fradici ma più che soddisfatti per come abbiamo passato questa insolita giornata natalizia.
26 dicembre
Piove anche stamattina e quindi decidiamo di visitare il castello di Larnach, l’unico castello esistente in Nuova Zelanda. La volta scorsa lo avevamo snobbato, e ci rendiamo conto che è stato un errore, perché si rivela più interessante del previsto. Una volta tanto possiamo quindi ringraziare la pioggia! Il castello è costruito su un punto panoramico della penisola (a vederlo, il panorama!) ma anche gli interni si rivelano interessanti: legni pregiati, arazzi, mobili originali, raccontano la vita di William Larnach, membro del parlamento Inglese dell’epoca vittoriana e della sua famiglia. Una visita che richiede un paio d’ore e che si conclude con uno spuntino di mezzogiorno nelle vecchie stalle del castello ora adibito a ristorante. Dopo il castello facciamo un giro nella vicina Dunedin, per visitare la famosa stazione ferroviaria del secolo scorso (bellissima, con decorazioni in legno originali e un straordinario pavimento piastrellato) e il vicino museo Toitu (Toitu Otago Settlers Museum) un museo etnografico ricco di foto e arredamenti della difficilissima epoca della colonizzazione di questi luoghi.  Usciamo nel tardo pomeriggio con la  pioggia che non ci da tregua, ma non ci facciamo intimorire: percorriamo con l’auto le stradine più sperdute della penisola, per osservare diverse specie di uccelli nel loro ambiente: cavalieri d’Italia, ostricai, gabbiani, spatole bianche, pukeko (un bellissimo uccello dal piumaggio blu originario della Nuova Zelanda), Tui e molti altri.      Il nostro giro si conclude con il calar delle tenebre e per cena si replica con gli spaghetti stavolta al pomodoro olive e capperi, visto che anche per il boxing day (Santo Stefano) non ci sono molti locali aperti!
27 dicembre
Lasciamo la penisola alle 8.00, dopo colazione, per spostarci lungo la costa ovest verso Kaikoura, la nostra prossima destinazione. La prima e unica sosta di una certa importanza è alle Moeraki Boulders, una spiaggia che presenta delle interessantissime quanto singolari formazioni rocciose di forma praticamente sferica: di origine silicea, sono praticamente dei massi preistorici formatisi sotto la superficie del mare per un gioco di pressioni. Insomma, sono di fatto delle palle di sabbia pressata, a volte perfettamente sferiche! Singolare anche il fatto che quando si rompono tendono a rompersi a spicchi donando alle rocce forme ancora più bizzarre.
Proseguiamo fermandoci di tanto in tanto solo per pause panoramiche ed arriviamo a Kaikoura verso le 17.00. La pioggia non ci ha mai abbandonato! Il b&b di Kaikoura dove abbiamo prenotato è assolutamente spettacolare: il Fiffe Shire è una costruzione posizionata sull’omonima collina che domina Kaikoura e gode di una vista mozzafiato. Gestito da una coppia di anziani assolutamente adorabili, troviamo in loro il calore che il tempo atmosferico ci sta negando! Su loro consiglio la sera, dopo un giretto tra le spiagge a “caccia” di foche e sterne ceniamo al “Peter’s” restaurant dove io mi ordino una aragosta per la quale il luogo è famoso. Ottima ed assolutamente avvicinabile, mezza aragosta, sufficiente per la cena, costa circa 30 Euro.
28 dicembre
Oggi sarebbe prevista la crociera di avvistamento balene, ma il tempo continua ad essere inclemente: ci rechiamo alla stazione di prenotazione del tour e scopriamo che, benché il tour non sia cancellato, il mare è mosso. Dato che è una esperienza già vissuta qui qualche anno prima (con il bel tempo!) mia moglie decide di rinunciare, temendo di soffrire il mal di mare, io decido di uscire lo stesso. Così ci separiamo, lei si fa un giretto per i negozi del paesino, mentre io esco. Il mare non è poi così male, ma è grigio e non è davvero il massimo come colori per fare da contorno all’avvistamento dei capodogli che puntualmente avviene per tre esemplari. I Capodogli vengono avvistati quando emergono per respirare. Si possono avvistare in questa zona perché il canyon marino che sta di fronte a Kaikoura è profondo 3000 metri e nel fondo vivono i calamari giganti, le prede preferite dei Capodogli. Per catturarli, questi enormi mammiferi si immergono in apnea fino al fondo del canyon e possono resistere senza respirare anche mezz’ora. Dopodiché emergono, si riposano e respirano per una decina di minuti per poi immergersi nuovamente, puntando subito l’enorme muso verso gli abissi e quindi facendo emergere la coda dall’acqua prima di scomparire: attimo che gli spettatori aspettano per scatenare un concerto di scatti di macchine fotografiche e mormorii di meraviglia.
Decido comunque che rinuncerò anche io il giorno seguente se il tempo sarà brutto, il grigio del mare non è davvero un bello sfondo per ammirare questi splendidi animali. Mi riunisco a mia moglie per pranzo (oggi sushi!) e quindi ci spostiamo verso una fattoria di pecore, dove abbiamo deciso di assistere alla tosatura. Un po’ restii all’inizio, perché sapeva di spettacolo turistico, abbiamo modo di ricrederci, perché il fattore, un vero fattore, ci diverte snocciolando una quantità industriale di precise e circostanziate informazioni sulle varie razze di pecore, i prezzi delle lane, il ciclo vitale degli ovini. Con lui, un fenomenale cane pastore che da spettacolo: pendendo letteralmente dalle labbra del suo padrone esegue ogni ordine che lui gli impartisce senza la minima esitazione. Un bimbo del gruppetto di visitatori, sollecitato dal fattore a dimostrare di essere bravo  come il cane, esegue con il candore tipico dei bambini gli stessi ordini, tra l’ilarità generale!
Alla fine la vittima sacrificale di turno viene tosata con una destrezza e una abilità incredibile dal fattore: meno di un minuto è sufficiente per privare l’animale dei circa tre chili di lana che frutteranno circa 10 dollari al proprietario. Ne ha guadagnato però il triplo con noi visitatori!
La pecora, che comincia subito a secernere lanolina per proteggersi dal freddo, verrà tenuta per la notte nell’ovile per riabituare il proprio corpo alla temperatura ed evitare lo shock termico (ora la lanolina farà le veci della lana per rendere la pelle impermeabile alla pioggia e proteggerla dal freddo) e quindi sarà lasciata libera nei prati a pascolare. Durante la dimostrazione si scatena un temporale che costringe addirittura il fattore ad urlare per farsi capire tra il frastuono provocato dalla pioggia sul tetto!
Lasciamo la fattoria quasi confusi  dalla quantità di interessantissime informazioni che ci sono state date, tra cui il fatto che il record nazionale di tosatura è di 130 animali in un’ora (dunque oltre due al minuto, per una intera ora!)  e terminiamo la giornata girando per spiagge, dedicandoci al nostro passatempo preferito, la ricerca di animali!
29 dicembre
Abbiamo prenotato con largo anticipo anche la prima uscita della giornata per le balene, alle 6.45, ma tutti i tour fino alle 8.00 sono stati cancellati per scarsa visibilità: ci facciamo dunque rimborsare quanto già pagato con carta di credito e decidiamo di anticipare la partenza visto che non smette di piovere. Torniamo al nostro b&b per la colazione, prendiamo i bagagli e dopo aver salutato i simpatici proprietari del b&b ci dirigiamo verso nord, Picton, da dove domani traghetteremo verso l’isola del nord. Questa volta abbiamo dedicato due settimane intere all’isola del sud, più trascurata durante il precedente viaggio. Ovviamente anche due settimane sono poche, ma sommando i due viaggi, possiamo dire che ora l’abbiamo vista discretamente. Ci attende la terza settimana all’isola del nord.
Nel nostro viaggio verso nord entriamo nella regione di Malborough, famosa per i vigneti, che infatti vediamo numerosi lungo la strada. Ancora più spettacolare, ad una cinquantina di chilometri da Picton, entriamo in una zona paludosa, che stavolta viene valorizzata dal tempo piovoso e dalle nuvole basse: i numerosi alberi morti creano una atmosfera rarefatta e misteriosa, da “signore degli anelli”! D’altra parte il film è stato girato proprio da queste parti. Usciamo dalla strada principale per percorrerne una parallela che corre proprio tra i laghetti e gli alberi dall’aspetto spettrale: ci aspettiamo di vedere apparire Frodo da un momento all’altro, emergendo dalla nebbia!
Arriviamo a Picton alle 15, e non abbiamo nessuna intenzione di farci scoraggiare dal tempaccio. Dopo aver preso possesso della camera al nostro motel, visitiamo il museo di Picton (piuttosto deludente a parte alcune fotografia d’epoca) ma veniamo invece ripagati dalla visita dell’Eco Aquarium, creato per la cura di animali malati, ma che racchiude al suo interno delle interessanti informazioni su flora e fauna locale, nonché qualche esemplare in cattività di animali che sono stati appunto raccolti e curati perché malati e feriti. Vediamo dunque da vicino i pinguini blu (quelli che abbiamo visto rientrare alla spiaggia di Otago) e i Tuatara, ovvero i dinosauri viventi Neozelandesi: sono dei lucertoloni somiglianti ai varani che davvero non occorre essere dotati di grande fantasia, per immaginarli scorrazzare tra le rocce della Nuova Zelanda di milioni di anni fa!
All’uscita veniamo accolti da un timido sole che sembra finalmente aver avuto la meglio dopo 5 giorni ininterrotti di brutto tempo. Ne approfittiamo per fare un giro lungo la costa, per goderci il bel tempo prima di cena!
30 dicembre
Il traghetto ci aspetta per le 10.00 del mattino (partenza alle 11.00 per una traversata di tre ore e dieci minuti) e le avvisaglie del tempo che cambia, già avute la sera precedente, vengono confermate: compiamo la traversata con un tempo bellissimo, che ci permette di gustare la costa frastagliata dello stretto tra le due isole. Una volta sbarcati ci dirigiamo pieni di speranza verso quella che è forse la meta per noi più importante del viaggio: il Vulcano Tongariro. Se prima di partire ci avessero chiesto quale erano le tre cose che avremmo assolutamente voluto non perdere il trekking del Tongariro sarebbe stato una delle tre, assieme all’avvistamento dei Kiwi (che siamo riusciti a fare) e al giro in elicottero sopra il complesso del Fox Glacier e del Franz Joseph Glacier (anche questo riuscito, anche se in extremis). Nella nostra mente, ora che ci stiamo avvicinando al terzo grande appuntamento, cominciano a farsi largo i dubbi: tre mete su tre, che vanno a buon fine, in un Paese piovoso come la Nuova Zelanda…. No, troppo difficile! Tra l’altro la bellissima giornata trovata nello stretto ha lasciato il posto ad una pioggerellina sottile, nuovamente! Eppure le previsioni parlano di bel tempo per domani e ce lo hanno confermato anche dal lodge dove abbiamo chiamato ieri sera, per confermare il nostro arrivo! Sembra davvero strano…
La voglia di arrivare a destinazione è davvero tanta e non ci fermiamo molto per la strada, anche perché il paesaggio non ci riserva delle gran bellezze. Arriviamo nel tardo pomeriggio al lodge, e andiamo subito alla reception per prendere accordi. Quello che domani vogliamo fare è il Tongariro trekking, considerato uno dei trekking più belli del mondo. Si tratta di un percorso di una intera giornata che prevede la partenza da un punto e l’arrivo in un altro e non è dunque un circuito. Per questo motivo i lodge sono organizzati in questo senso: portano i clienti al punto di partenza con piccoli pulmini, per andare poi a prelevarli al punto di arrivo, diverse ore dopo.
Esistono ovviamente anche circuiti più lunghi, ma la parte più spettacolare è senza dubbio questa.
Alla reception ci accoglie l’energica proprietaria, che ci conferma subito che per domani il tempo è previsto bello: anzi, prevedono nuvoloso al mattino, ma schiarite a partire dalle 10 del mattino. Al nostro arrivo al Tongariro national park abbiamo trovato di nuovo bel tempo e le chiediamo se oggi sono usciti. Ci risponde di no, quasi tutto il percorso era avvolto dalla nebbia e ha piovuto tutto il giorno. La cosa ci fa riflettere sull’estrema variabilità del tempo di cui abbiamo letto: ora c’è un sole bellissimo, ma ha piovuto tutto il giorno, mentre domattina è previsto nuvolo con schiarite a partire dalle 10.00: da impazzire! Ci fidiamo comunque della sua esperienza e ci prenotiamo per il giorno dopo: quando abbiamo deciso l’itinerario, per avere maggiori probabilità abbiamo previsto tre notti qui, per avere due possibilità di tentare, ben sapendo che a volte non è possibile affrontare il trekking per una intera settimana, causa maltempo! Per questo non abbiamo dubbi e ci prenotiamo per il giorno seguente, anche se le previsioni sono buone per entrambi i giorni!
La proprietaria del lodge ci illustra il trekking e ci da tutte le raccomandazione del caso su acqua cibo e vestiario. La rassicuriamo dicendo che siamo abituati ai trekking in montagna, ma lei ci dice che lo fa con tutti, perché c’è gente che affronta il trekking pensando di andare ad una gitarella. Il giorno dopo capiremo le sue ragioni.
Ceniamo in un vicino ristorante in stile Country e, dopo aver preparato i nostri zainetti per il giorno dopo andiamo a dormire col cuore colmo di speranza.
31 dicembre
Inutile dire che al suono della sveglia, alle 6.00, la prima cosa che faccio è andare a vedere il tempo: dalla finestra mi sembra nuvoloso, anche se non piove, provo ad aprire la porta e purtroppo anche uscendo trovo conferma: il cielo è completamente coperto. Siamo però solo parzialmente delusi, perché secondo le previsioni il cielo doveva effettivamente essere coperto fino a metà mattinata. Ancora una volta speriamo che ci abbiano azzeccato. Alle 6.15 siamo nella saletta colazioni e incontriamo la proprietaria che, tranquillissima, ci annuncia che si parte regolarmente perché il tempo migliorerà. Rincuorati, ci fidiamo di chi sa scrutare il cielo meglio di noi da queste parti e alle 7.00 siamo già tutti sul pulmino pronti a partire. Siamo in 6 ma questa è solo la prima infornata, quelle dei mattinieri, ci saranno a seguire altri tre viaggi fino alle 8.30.
In 20 minuti siamo al punto di partenza, al Mangatepopo car park: davanti al parcheggio un vero e proprio semaforo ad energia solare ha la luce verde accesa: il semaforo non misura le condizioni atmosferiche ma le condizioni del vulcano. Siamo in una delle zone a maggiore attività vulcanica del mondo, per giunta in una zona dove spesso le esplosioni vulcaniche avvengono senza preavviso, ed il semaforo sembra ricordarcelo. La luce verde non indica “nessun pericolo” ma pericolo entro la norma, quindi siamo ben felici di non vedere accesa la luce gialla “alto rischio” o rossa “divieto di accesso”!
Dunque si comincia, ci aspettano 19,4 km di strada! Ci incamminiamo lungo la prima parte, completamente pianeggiante, che serve se non altro a scaldarci. Mia moglie il giorno prima è stata assalita dalla paura di non farcela, di non essere all’altezza, ma io non mi sono preoccupato, so che ha la tendenza a sottovalutare le sue forze solo in apparenza scarse! La prima parte, complice anche la scarsa luce per il cielo plumbeo, non si rivela particolarmente interessante, ma dopo circa un’ora di cammino le cose cambiano: benché continuiamo ad essere avvolti dalle nuvole basse e continui a piovigginare, intorno a noi si cominciano a vedere i coni vulcanici. Dopo circa 5 km di sentiero facile arriviamo alla base della prima salita. Il cielo si sta aprendo, e alla nostra destra uno spettacolare cono vulcanico rivela la propria vetta tinta di rosso porpora dalle rocce riolitiche.
E’ la prima di una lunga serie di spettacolari vedute. Da qui comincia la prima vera ascesa, che ci porterà a 1800 metri di altezza. Sul sentiero ci sono parecchie persone, complice anche il fatto che negli ultimi due giorni il maltempo ha impedito l’ascesa. Non possiamo fare a meno di notare che molti sono davvero male equipaggiati. Ci sorpassa con passo spedito addirittura un giovane con ciabatte infradito e borsetta di plastica in mano…
I neozelandesi sono certamente gran navigatori ma molti di essi dimostrano di essere alpinisti alquanto sprovveduti!
La prima tappa ci porta di fronte al Red Crater, il nome parla da sé! Dalla cresta posta alla fine della salita, spazzata dal vento, la veduta si apre su un cratere eruttivo di colore rosso porpora. Le nubi ci coprono ancora parzialmente la vista, e quindi decidiamo di aspettare un po’, visto che il vento sembra voler spazzarle via.
Sono quasi le undici e il cielo finalmente si apre quasi completamente, regalandoci una vista spettacolare: i coni color porpora sono due, uno di fronte all’altro. Dietro di noi, il monte Ngauruhoe di 2287 metri, che ammiravamo ai piedi della salita, davanti lo spettacolare Red Crater.     l clima che ci aspetta in vetta dimostrerà che chi non era ben attrezzato si è dimostrato davvero uno sprovveduto. Il vento è molto forte, fa freddo e siamo costretti, se vogliamo fermarci, a coprirci. E noi vogliamo fermarci, perché lo spettacolo è formidabile!
Notiamo invece che tanta gente non sembra molto interessata: arriva di corsa, fa una foto frettolosa e riparte.
Dopo circa una mezz’oretta passata ad ammirare il panorama a 360° ripartiamo per l’ultimo strappo che porta verso il passo. Incrociamo persone davvero poco vestite che stanno tornando indietro, mentre il vento e il freddo aumentano di intensità man mano che saliamo. Alcune raffiche ci costringono ad accucciarci al riparo di qualche roccia, prima di proseguire, riuscendo quasi a buttarci per terra.
Finalmente, dopo l’ennesimo sforzo, superiamo il passo e la vista si apre sulla valle sottostante. Restiamo senza fiato e non certo per la fatica: sotto di noi, tre laghetti con le acque di colore verde, ma di tre verdi completamente diversi tra loro, benché siano a pochi metri l’uno dall’altro!
Il colore è dato ovviamente dai minerali presenti all’interno, siamo nel mezzo della zona vulcanica più attiva. Scendiamo sul terreno infido, con parecchio ghiaione, ed arriviamo senza incidenti su una sporgenza rocciosa circa 50 metri sopra i laghetti, dove ci fermiamo per pranzo, data la vista più unica che rara. Essendo scesi lungo il versante opposto il vento è scomparso e non fa più freddo. Dopo aver consumato il nostro pranzo con molta calma, scendiamo fino ai laghetti, dove troviamo parecchi altri escursionisti intenti a godersi la pace del luogo. Alle nostre spalle, il Red Crater è ancora visibile e aggiunge ulteriore colore alla tavolozza già ricchissima. Le rioliti intorno al lago sono gialle, rosse, marroni, verdi, arancioni, viola….
Siamo a 1730 metri di altezza, quindi una altitudine di tutto rispetto. Inutile dire che il nome dei laghi, “emerald lakes” è decisamente scontato quanto meritato.
Siamo a poco meno della metà dei 19,4 km da percorrere, ma la parte più difficile è passata, tanto è vero che i 10 km mancanti, secondo le tabelle che si vedono lungo il percorso, si possono percorrere in poco più di un terzo del tempo. Indugiamo parecchio intorno ai laghi e alle fumarole che ci sono lì intorno, anche perché notiamo con piacere che la maggior parte delle persone se ne è già andata ed il posto diventa sempre più tranquillo. Ma verso le 14.30 decidiamo di incamminarci, anche perché il nostro lodge ha dato 3 appuntamenti per la raccolta escursionisti: le 15.00, le 16.00, le 17.00.
I laghi sono seguiti da una lunga valle in quota, seguita da una piccola salita che porta ad un altro lago, molto più grande ma meno spettacolare perché non interessato da fenomeni vulcanici. Da lì, comunque si gode ancora della vista sul red crater e parzialmente sugli Emerald lakes. Si costeggia quindi il lago e da lì la strada comincia a scendere, prima tra una vegetazione bassa e cespugliosa, dove si notano ancora fumarole, quindi nel mezzo di un bel bosco.
La zona più pericolosa per l’attività vulcanica è finita proprio in corrispondenza del grande lago. La discesa è meno spettacolare della salita, ma sostiamo comunque parecchie volte per goderci il panorama, così arriviamo all’appuntamento al parcheggio di raccolta in clamoroso ritardo, poco dopo le 6. Avevo previsto di chiamare il lodge, ma con mia sorpresa trovo la gestrice lì ad aspettarci: ci dice che noi siamo gli ultimi, mi scuso dicendo che ci siamo fatti prendere dall’entusiasmo per la bellezza del luogo, ma lei sembra totalmente rilassata e continua a ripetere che non c’è nessun problema, l’importante è che non ci siamo fatti male e tutto sia andato bene.
Sorride quando le diciamo, sulla via del ritorno, che per noi anche le 11 ore che ci abbiamo impiegato sono state quasi strette, vista la bellezza del paesaggio e ci racconta che se fosse per lei raccoglierebbe tutti alle 7 di sera, proprio perché anche lei è una innamorata del luogo. Purtroppo non lo può fare perché ci dice che ci sono escursionisti che addirittura telefonano prima del primo appuntamento, alle 15.00, perché vogliono tornare in albergo! Ci conferma insomma che sono in tanti a fare il trekking di corsa, giusto per dire di averlo fatto, non certo per godere della bellezza del paesaggio. Troviamo alquanto strana la cosa, come troviamo strano che ci dica che la maggior parte dei “corridori” sono proprio neozelandesi. Forse per molti di loro è solo un esercizio fisico, vista la loro passione per lo sport!
Oggi è l’ultimo dell’anno e dopo una rapida doccia ci ritroviamo a cena lì in hotel nello stesso tavolo di una coppia di lussemburghesi che hanno anch’essi fatto il trekking quel giorno. Si ferma con noi anche il marito della energica titolare: ha capito che siamo italiani e ci viene a raccontare che lui adora l’Italia, c’è stato 5 mesi ben 43 anni prima e non è mai riuscito a tornare: con la moglie hanno programmato il viaggio per il 2014 e si vede che non sta nella pelle! La compagnia è piacevole, ma siamo tutti distrutti. Andiamo a letto prima delle 22.00, senza nessun rimpianto per non avere atteso l’arrivo del 2014!
1 gennaio 2014.
Anche oggi la giornata è radiosa, ancora più bella di ieri, anche se la titolare a colazione ci dice che è previsto un vento ancora più forte in quota. Dato che avevamo prenotato tre notti (due giorni) proprio nel timore di trovare brutto tempo, e visto che ci è andata bene già il primo giorno, avvisiamo la titolare che noi intendiamo partire, pagando ovviamente la notte in più prenotata.
Ci risponde che non c’è nessun problema e ci darà indietro i soldi, perché siamo in alta stagione e quasi sicuramente arriverà qualcuno a prendere la camera. Così, partiamo subito dopo colazione, portando nel cuore il ricordo del giorno più bello di tutta la vacanza.
Puntiamo su Rotorua, la zona vulcanica che avevamo visitato molto bene durante il nostro primo viaggio in NZ, ma che è talmente bella che con piacere sfruttiamo questo giorno in “più” per trascorrerlo da quelle parti!
Scendiamo dunque di quota, restando sempre  nella regione attiva dal punto di vista vulcanico, costeggiando  il lago Taupo, gigantesco cratere generato da una spaventosa eruzione preistorica, ed ora tranquillo luogo di pesca e villeggiatura. Una trentina di chilometri prima di arrivare a Rotorua, seguiamo la deviazione per Wai-o-Tapu, una delle valli vulcaniche più famose in Nuova Zelanda. L’ingresso costa 27 dollari a testa.  La parte più spettacolare è certamente la champagne pool, così chiamata perché è una pozza molto profonda, a forma vagamente di flute di champagne,  con bollicine di gas provenienti dagli strati più profondi che si formano in superficie, ricordando così le bollicine dello spumante. L’acqua di questa pozza è molto calda e il fumo, sospinto dal vento, avvolge spesso i visitatori nascondendoli alla vista. I bordi sono colorati di rosso vivo per la presenza di minerali di ferro e la combinazione cromatica è davvero di grande effetto.
Altro luogo degno di nota è un laghetto dalle acque color verde smeraldo, dalle pareti scoscese piene di nidi di welcome swallows, una specie di rondine molto diffusa in Nuova Zelanda. Mi fermo ad osservare e fotografare le evoluzioni di una coppia decisamente litigiosa mentre mia moglie fa una ulteriore passeggiata in zona.
Terminiamo la visita all’ora di pranzo, ci fermiamo al centro visite per un rapido spuntino e quindi andiamo a cercarci un motel a Rotorua. C’è una grande recettività a Rotorua, ma siamo in altissima stagione, quindi i primi che passiamo espongono tutti il cartello no vacancy. Tra quelli che non espongono il cartello ne scegliamo uno a caso, il Boulevard Motel. La gentile signora della reception ci dice che la camera è l’ultima a disposizione: il tempo di consegnarci la chiave ed accende anche lei il cartello no vacancy. Ne approfittiamo per chiederle di prenotare per noi anche una serata in un villaggio maori: sembra una cosa abbastanza turistica, ma per poter giudicare è giusto vedere, quindi ci proviamo. Ci comunicano che passeranno a prenderci alle 18.15 quindi, visto che sono appena passate le tre, andiamo a goderci la bella giornata di sole al locale che si trova nel vicino museo, collocato all’interno di una bella costruzione in stile coloniale britannico. Davanti a noi un bel prato dove passeggiano le famiglie, godendosi il sole della giornata festiva.
Rientriamo in tempo per farci raccogliere dal pulmino che ci porta al Mitai Maori Village. Ci ritroviamo in un tendone con altre 400 persone, è incredibile quanta gente voglia assistere a questa serata Maori! L’organizzazione è impeccabile anche se ovviamente il gran numero di presenti conferma la nostra impressione sul fatto che il tutto sia pensato per i turisti. Dopo una prima presentazione dove si fa il censimento delle nazioni presenti (ben 22 e, incredibile ma vero, noi scopriamo di essere i soli italiani, mentre almeno la metà sono Australiani e Neozelandesi), ci dividono in due gruppi più piccoli ed entriamo in foresta dove ci appostiamo vicino ad un fiume, per vedere una tradizionale canoa maori in legno, davvero molto bella, scendere la corrente, manovrata da una decina di guerrieri dall’aspetto poco rassicurante.
Ci accompagnano poi a vedere uno spettacolo di danze Maori dove non manca ovviamente il famosissimo haka e quindi si va a cena con un buffet di carne e verdure cucinate tradizionalmente sotto la cenere secondo la tradizione Maori.
Va detto che, nonostante la serata si sia rivelata smaccatamente turistica, è stata comunque interessante, grazie alla perfetta organizzazione del villaggio. Tutte le dimostrazioni di cultura Maori si sono tenute in un contesto perfettamente naturale e di questo va dato loro merito, come va detto che le informazioni di natura storica e culturale si sono rilevate ricche e abbondanti.
Niente fili elettrici in circolazione, orologi da polso, o altre sciocchezze che rivelassero una trascuratezza e una approssimazione poco professionale. Insomma, se dovessimo definirlo con una frase, potremmo dire:  tutto finto, ma copia conforme al vero!
Un’esperienza da provare una volta, anche perché tutto sommato ci siamo divertiti!
Una curiosità: prima di rientrare ci accompagnano di nuovo alla foresta per vedere gli immancabili glow worms (larve che di notte brillano, un po’ come le nostre lucciole) ma soprattutto una sorgente chiamata la sorgente dell’acqua pura. Ci rivelano solo ora che l’acqua che abbiamo bevuto a cena è stata attinta da li. Davvero pura, nei giorni seguenti non accuseremo nessun disturbo (ma confesso che se ce lo avessero detto prima forse non l’avrei bevuta, visto che la sorgente sembrava abbastanza “stagnante”…). Evidentemente c’era un motivo se non ci hanno rivelato prima questo particolare!
2 gennaio 2014
Stamattina ci dirigiamo verso la valle di Waimangu. E’ una valle che si incunea tra due montagne, e il suo ingresso è nel punto più alto. La visita si fa dunque percorrendo la strada in discesa, e, per evitare ai visitatori la fatica di ritornare sui propri passi in salita, una navetta risale la strada sterrata ogni mezz’ora, riportando all’ingresso coloro che hanno terminato il percorso.
La valle si trova ad una trentina di chilometri da Rotorua ed è pubblicizzata come il luogo più giovane del mondo: si è infatti formata nel 1886, a seguito della disastrosa eruzione del vulcano Tarawera, che ha formato una spaccatura di oltre 17 chilometri. Il più giovane ecosistema geotermale del mondo, dove la vita è ricomparsa solo 30 anni dopo il disastroso evento. Ora, a poco più di un secolo di distanza, il luogo appare calmo e tranquillo, ma la calma è solo apparente: le frequenti manifestazioni vulcaniche che accompagnano il visitatore lungo tutta la valle, fatte di ruscelli bollenti, fumarole, laghi colorati, fango bollente, rivelano che a pochi metri di profondità è ancora attivo un mondo infernale e pericolosissimo, pronto ad esplodere nuovamente da un momento all’altro.…..
Lungo il percorso scorci con laghi fumanti e colorati,  rocce colorate da minerali come il manganese, il ferro, lo zolfo (e si sente!) l’arsenico. Un vero paradiso ed inferno allo stesso tempo. I visitatori sono pochissimi, complice anche la distanza da Rotorua, e si riesce a godersi oltre allo spettacolo dei colori vulcanici, anche la tranquillità che una valle immersa nella natura può offrire. L’unico mezzo che percorre la strada (dalla quale comunque ogni tanto i sentieri si allontanano) è la navetta che si sente ogni mezz’ora.
Il tempo è soleggiato con solo qualche nube passeggera. La visita ci prende tutta la mattinata e riserviamo il pomeriggio al sito più conosciuto, che si trova all’ingresso di Rotorua e si chiama Te Puia. E’ in assoluto il sito più affollato dei tre più famosi e importanti (appunto Te Puia, Waimangu e Wai-O-Tapu) . L’ingresso è piuttosto caro ( 48,50 dollari a testa) e l’attrattiva principale è un geyser che spara un getto d’acqua ad una altezza che a volte può arrivare anche a 30 metri, ma è piuttosto discontinuo. Dei tre siti è a nostro modo di vedere il meno bello oltre che il più affollato.
A beneficio di chi legge questo diario per avere informazioni sulla zona di Rotorua, va anche detto che ci sono altri due siti molto importanti: Hell’s Gate e un Geysir chiamato Lady Knox che spara il suo getto d’acqua ogni giorno intorno alle 10.30. Noi li abbiamo saltati questa volta perché già visti nel viaggio precedente, ma vanno presi in considerazione per chi vi si reca per la prima volta.
Esistono poi altri siti minori per chi vuole davvero conoscere a fondo questa zona e se il tempo a disposizione lo permette vale la pena vederne il più possibile!
Questa sera però noi prevediamo di arrivare ad Auckland, quindi dopo la visita di Te Puia, cominciamo a dirigerci verso la capitale. Arriviamo all’hotel prenotato, il Novotel giusto di fronte all’aeroporto, alle 9.00 di sera. Non abbiamo scelto l’hotel a caso: il giorno seguente sarà tutto a disposizione per la visita di Auckland, ma la mattina successiva il volo intercontinentale sarà presto, alle 8.00 del mattino . Alloggiare lì ci permette di restituire l’auto affittata con un giorno di anticipo e di raggiungere la capitale con la comoda navetta che fa la spola con l’aeroporto risparmiandoci la fatica di cercare un parcheggio in città!
Il giorno della partenza, poi, basterà attraversare la strada per essere al check-in.
3 gennaio 2014
Subito dopo colazione vado a restituire l’auto al rent a car, quindi torno in albergo a prendere mia moglie e prendiamo la navetta per il centro. Questa è la nostra terza volta ad Auckland, dato che vi abbiamo passato tre giorni in occasione del primo viaggio in Nuova Zelanda, e un altro giorno al rientro da Vanuatu, nel viaggio dell’anno precedente. Ce la prendiamo quindi con calma e ci concediamo una replica, per quel che riguarda le visite, al Museo Nazionale che ricordiamo essere bellissimo, perché espone dei pezzi di architettura Maori davvero unici al mondo. La memoria non ci inganna e godiamo appieno di questa “ripetizione”. Dedichiamo invece il resto della giornata alle passeggiate, allo shopping, e ci concediamo la salita sulla torre di Auckland dalla quale si gode un magnifico panorama.
Passeggiamo anche lungo il porto principale, dominato dalla sagoma della prima barca neozelandese a vincere la famosissima “America’s Cup”. Il team New Zealand fu il primo team straniero della storia a strappare la coppa ad una squadra Statunitense e l’avvenimento fu una sorta di festa nazionale in Nuova Zelanda, dove gli sport velici, assieme al Rugby, rappresentano qui quello che per noi è il calcio, per dare una idea della sua importanza! Nel porto sono ormeggiati yacht da sogno oltre ad avveniristiche e certamente altrettanto costose barche a vela per regate transoceaniche.
Ceniamo proprio presso il porto in un sushi bar gestito da Giapponesi, che si rivela una ottima scelta sia per qualità che per il prezzo.
4 gennaio 2014
Quello di ieri è stato il nostro ultimo giorno in Nuova Zelanda, un Paese che non finisce mai di sorprendere per la sua selvaggia bellezza. Ripartiamo con l’augurio che non sia comunque la nostra ultima visita, visto che tornare di nuovo in Paesi già visti si sta rivelando una abitudine che ci da davvero grandi soddisfazioni!
Il nostro lungo viaggio di ritorno comincia alle 8.00 del mattino con il volo della Cathay Pacific con scalo ad Hong Kong e Francoforte. Un totale di 24 ore e mezza di volo, che sono certamente l’unica nota negativa di un viaggio verso la Nuova Zelanda. Se non fosse così distante, questo Paese ci accoglierebbe come visitatori certamente molto più di frequente!

 

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