Monte Athos: il secondo viaggio, un anno dopo

Il ritorno in un angolo di Grecia dove il tempo sembra essersi fermato

Promessa mantenuta! Siamo tornati, un anno dopo, a visitare il Monte Athos, più agguerriti che mai! Probabilmente non sarebbe un aggettivo da usare, vista la santità del luogo, ma ora che sappiamo come muoverci, siamo certi che riusciremo a visitare molti di più dei 4 monasteri dello scorso anno!20-5-2007
Questa volta abbiamo lasciato due giorni a Thessaloniki all’inizio del viaggio, perché stiamo aspettando che ci raggiungano gli ultimi del gruppo: siamo sempre in 6 anche se due componenti del gruppo sono cambiati. Ne approfittiamo per visitare, in questi due giorni, altre attrattive di Thessaloniki.
Mentre nel primo viaggio ci eravamo dedicati di più a musei e monumenti, stavolta diamo la preferenza a passeggiate nei quartieri tipici della città, il quartiere romano, quello turco, quello ebraico: Salonicco è stata una delle città con una importantissima presenza ebraica, fino alla seconda guerra mondiale. Gli ebrei sefarditi arrivarono dalla Spagna, nazione dalla quale furono espulsi nel 1492: un piccolo gruppo era già presente in città, ma quell’avvenimento segnò l’inizio di un importante afflusso di ebrei in città che parteciparono attivamente alla sua storia e alle sue alterne fortune. Nel XV e XVI secolo l’afflusso fu massiccio e continuo, tanto è vero che il picco di presenze si raggiunse nel 1618, quando gli abitanti di origine ebraica costituivano ben il 68% della popolazione di Salonicco!
Dunque, non riesce difficile comprendere come, nonostante la dispersione e la dissoluzione della comunità durante la seconda guerra mondiale, le testimonianze del passato ebraico sono tuttora presenti e ben percebili in città.
Oltre ai quartieri segnati dalla presenza di Turchi, Ebrei e antichi Romani, ci gustiamo soprattutto l’animatissimo mercato, greco al 100%, dove torneremo alla fine del viaggio a fare il pieno di olive, e tipiche leccornie elleniche!

22-5-2007
Siamo di nuovo sul traghetto che da Ourianopolis ci porta verso Dafne. Anche stavolta siamo ufficialmente invitati dal Monastero di San Paolo quindi trascorreremo lì la prima notte.
Dopo la registrazione facciamo una passeggiata nei dintorni e studiamo l’itinerario per i giorni a venire: contiamo di fermarci altre 5 notti, senza chiedere l’estensione come dovremmo in teoria fare, sperando che nessuno ci faccia storie.
A San Paolo ci hanno assegnato la stessa camerata dell’anno precedente, otto posti letto che noi, in sei, occupiamo completamente.
Oggi fa un caldo terribile e la breve passeggiata ci ha veramente stremato: ci diamo il turno per le docce, nel bagno in comune per tutti i pellegrini: i bagni dei monasteri sono forse la nota più dolente di tutto il viaggio: in alcuni casi erano più che decorosi, in altri erano davvero di standard molto molto basso. Molto spesso privi anche di acqua calda, si sono rivelati spesso delle vere penitenze! Fortunatamente il caldo clima greco ci ha fatto sopportare senza grosse preoccupazioni questo disagio. Altro disagio è dato dalla corrente elettrica, che manca in molte ore della giornata, particolarmente di notte. In tutti i monasteri la corrente è garantita solo da gruppi elettrogeni, per cui non esiste una fornitura regolare di corrente. Negli eremi e in molte kalyva manca del tutto.
Tuttavia nessuno di noi ne sente la mancanza: il rifiuto della fornitura regolare da parte dell’amministrazione del Sacro Monte, proposta dalla Stato Greco anche di recente, fa si che il paesaggio non sia deturpato da fili e tralicci e la cosa non può che farci piacere!
Tornare per la prima notte a San Paolo è un po’ come ripercorrere le intense emozioni vissute nel primo viaggio… dove eravamo rimasti? Ai rintocchi del talanton, alla voce piatta del monaco che legge la vita dei santi nel refettorio, al via vai dei muli per strade sterrate e sentieri. Tutto come l’anno scorso, ma del resto cosa può cambiare in un anno in un luogo dove tutto è immutato da secoli?

23-5-2007
Integriamo la nostra solita povera colazione a base di olive e dolcetti con delle barrette e partiamo subito verso la Skiti di Sant’Anna che, benchè sia molto più vicina al monastero di San Paolo, appartiene alla Grande Lavra, il monastero più grande e importante dell’Athos, oltre che il più remoto, visto che si trova in punta alla penisola. Per raggiungerla occorrono quasi due ore di cammino: il sentiero è ben segnato ma in costante ascesa, anche perché per prenderlo abbiamo dovuto scendere un po’ dalla strada che dal Monastero San Paolo porta verso il mare. A metà di questa strada, prendiamo dunque lo stretto e tortuoso sentiero.
Non è facile camminare, anche perché non abbiamo con noi solo uno zainetto da escursione, ma tutto il bagaglio. Fortunatamente io ho uno zaino vero e proprio ma un paio di amici hanno un borsone difficile da maneggiare e la fatica raddoppia. Incontriamo ad un certo punto una piccola fattoria in pietra, con due asini al di fuori che osservano due operai scavare una buca: non sappiamo a cosa serva e non stiamo ad indagare: certo è che i due operai, chiaramente dei laici, stanno faticando non poco a scavare sotto il sole, ed ovviamente non possono neppure togliersi la maglietta, viste le leggi del luogo. Discutono tra loro in una lingua che sembra essere l’albanese.
Ci fermiamo un po’ a riposare all’ombra e dopo un po’ partiamo per l’ultima salita. Il sentiero ora costeggia il mare e i panorami che si aprono a tratti tra i cespugli sono semplicemente idilliaci: il mare color turchese sembra risplendere di luce propria.
Arriviamo alla piccola skiti poco dopo le undici: ci abbiamo messo ben oltre due ore, visto il caldo e il peso che dovevamo portarci dietro!
L’ouzo offertoci dai monaci accompagnato da dolcetti e olive hanno il gusto del caviale e champagne! Uno di loro è molto gentile e sorridente, dote non molto diffusa sul Monte Athos, contrariamente a quello che si può immaginare.
Dal cortile della piccola skiti di sant’Anna, occupata da 5 monaci, si gode un meraviglioso panorama: da una parte il mare, dall’altra l’imponente sagoma del monte Athos. Aggregati alla Skiti ci sono però tanti altri monaci, che vivono o in piccolo gruppi nelle kalyva circostanti o in solitudine negli eremi disseminati lungo la spettacolare scogliera circostante.
Dopo qualche minuto arriva anche un gruppo di 4 ragazzi spagnoli: sono appena scesi dal Monte Athos, che hanno scalato proprio partendo all’alba del giorno precedente: organizzati con caldi sacchi a pelo, hanno bivaccato nella notte vicino alla cima e sono ripartiti questa mattina per arrivare alla Skiti. I ragazzi sono di Maiorca e ci raccomandano l’escursione perché davvero meravigliosa. Siamo allettati, ma questo significherebbe non andare il giorno seguente al grande Lavra e preferiamo attenerci al programma, non vogliamo davvero saltare il monastero più importante.
La piacevole conversazione con i nostri nuovi amici spagnoli, che spazia dall’Athos all’isola di Majorca si interrompe per il pranzo: ci rendiamo conto di essere molto affamati!
Nel piccolo e fresco refettorio: ci viene servita una zuppa di fagioli che trangugiamo con avidità. Anzi, ne avanza una (forse qualcuno che non si è presentato?) e la divido con il mio amico Michele… una verà bontà! Pane fresco e feta sono la degna conclusione di questo pasto che ci pare sontuoso!
Nel pomeriggio gli Spagnoli e un paio di altri escursionisti se ne vanno, io e un paio di compagni di viaggio decidiamo di percorrere in parte il sentiero che conduce al grande Lavra. Essendo molto lungo, il giorno dopo raggiungeremo il monastero con il battello, scendendo fino all’imbarcadero della skiti.
Il sentiero è bellissimo e notiamo che molto spesso si dipartono piccoli vie, quasi invisibili, che evidentemente portano verso i numerosi eremi: ne vedremo parecchi il giorno dopo, navigando lungo la costa, piccole e povere casupole inaccessibili dal mare, appollaiate in equilibrio precario su spuntoni di roccia, come nidi d’aquile.
Dopo aver fatto il pieno di silenzi e profumi mediterranei, torniamo sui nostri passi. Questa notte saremo gli unici a dormire nella piccola skiti e ci godiamo la pace e la solitudine in questo luogo meraviglioso.

24-5-2007
Il mattino dopo scendiamo verso l’imbarcadero: il traghetto arriva come al solito in ritardo, ma noi non abbiamo fretta. Ci imbarchiamo, destinazione Grande Lavra, il monastero numero 1 nella lista dei 20 e anche il primo a regola idiorritmica che visiteremo.
Un tempo tutti i monasteri seguivano questa regola, che prevede anche la proprietà privata dei singoli monaci, ma ora sono rimasti solo in 7, visto che a partire dal ‘700 molti hanno scelto di passare alla regola cenobitica, che prevede beni e vita in comune. Per una spiegazione più dettagliata rimando al glossario.
Per arrivare si doppia la punta estrema della penisola navigando attorno a quella che è la parte più spettacolare di questo lembo di terra: una scogliera a picco sul mare dove ogni angolo che presenti anche il minimo appiglio è occupato da minuscoli alloggi dove vivono coloro che hanno scelto una esistenza da eremiti. Si intravede qualche minuscolo lembo di terra adibito ad orticello ma nemmeno un’anima viva. Abbiamo forte la sensazione che quando questi eremiti sentono o vedono arrivare una nave si ritirino nelle loro misere casupole. La scogliera è comunque davvero spettacolare. Passati sul lato est della penisola si arriva ben presto all’attracco del grande complesso monastico del grande Lavra. Anche qui bisogna camminare per un piccolo tratto a piedi prima di arrivare al monastero. Siamo almeno una cinquantina di pellegrini e non riesco a vedere nessun altro straniero. La registrazione al Grande Lavra avviene in una bella terrazza al primo piano, ma l’atmosfera è molto meno mistica rispetto agli altri monasteri: due burberi monaci si assicurano che compiliamo il registro e poi ci accompagnano a turno, in piccoli gruppetti, al dormitorio al piano di sotto. Abbiamo sempre dormito in camere multiple, ma questa sembra proprio una camerata da caserma!
In compenso il complesso è davvero degno di nota. Fondato nel 963 da S. Atanasio inizialmente non era un vero e proprio monastero, ma un gruppo di celle monastiche che facevano capo ad una chiesetta e prendevano il nome di Lavra: proprio da qui deriva il nome, perché esistevano già altre lavra a quel tempo nella penisola e questa era la più grande. Tutte le altre però scomparvero, lasciando spazi ai monasteri, mentre questa si sviluppò e si trasformò divenendo a sua volta monastero ma mantenendo il nome. La sensazione che si ha infatti una volta entrati è di trovarsi in una specie di luogo fortificato, dato che il monastero è circondato da alte e possenti mura.
Visto da fuori somiglia più ad una costruzione da guerra che non ad una costruzione religiosa.
L’interno è magnifico: la piazzetta dove stanno il katholicon e il refettorio, uno di fronte all’altro, è il fulcro della vita del monastero ed è ornato da due cipressi che, secondo la tradizione, furono piantati oltre 1000 anni fa. Tra i cipressi la fiala (fontana posta di fronte alla chiesa, che nel mondo bizantino era destinata alle abluzioni o a contenere l’acqua benedetta)
Il refettorio è comunque ancora una volta la costruzione che ha attirato di più la mia attenzione: le mura esterne sono decorate da bellissimi affreschi e più tardi avrò modo di vedere che l’interno è ancora più bello.
Passiamo il pomeriggio a visitare tanto l’interno quanto l’esterno del monastero, circondato da orti e campi coltivati che degradano dolcemente verso il mare.
In un cortile interno, ammucchiati in un angolo, notiamo una serie di oggetti accatastati che sembrano provenire da una soffitta: molti farebbero la gioia di un antiquario, inclusi tre piccoli cannoni che sembrano tradire una origine cinquecentesca.
All’ora di cena scopriamo che anche qui un monaco all’ingresso è incaricato di fare la selezione tra ortodossi e non: entrano prima nel refettorio i monaci, poi i pellegrini di fede ortodossa e solo per ultimi noi cattolici, che non veniamo certo trattati con i guanti, visto che siamo i fratelli eretici! Benchè ci abbiano fatti sedere in disparte, negli ultimi tavoli vicino alla porta, abbiamo ben aperta la vista sulle pareti affrescate, tanto bella da farmi quasi dimenticare di consumare il frugale pasto: se devo essere sincero, infatti, non riesco a ricordare nulla di ciò che ho mangiato al Grande Lavra, eccetto le immancabili olive nere! Ma non credo abbia molta importanza. E’ davvero una disdetta che non si possa fotografare, come nelle altre sale interne, quindi cerco di imprimermi per bene nella mente più dettagli possibile di quella meravigliosa sala.

25-05-2007
Resteremo un’altra notte alla grande Lavra, quindi il mattino seguente, armati di leggeri zainetti con acqua e qualche provvista, usciamo per un trekking che ci porterà alla skiti romena del Predromos, intitolata a san Giovanni Battista, che dipende dal Grande Lavra. Si cammina dapprima lungo uno stretto sentiero percorso dai muli, tra cespugli di macchia mediterranea e alberi di ulivi. Lungo il sentiero si aprono ogni tanto vedute sul monastero ed i suoi orti: la mancanza di qualsiasi elemento moderno ci fa sentire proiettati indietro di secoli: sensazione che svanisce quando sbuchiamo su di una strada sterrata, abbastanza ben tenuta, dove ci sono dei lavori in corso che spezzano decisamente la poesia. Passiamo in mezzo a gru e camion e dopo un po’ arriviamo alla skiti, che è più grande di quello che immaginavamo. All’ingresso alcuni operai albanesi stanno trasportando materiale con delle scalcagnatissime carriole proprio di fianco ad un moderno fuoristrada, che evidentemente sostituisce un bel po’ di muli! I fuoristrada, assieme ai cellulari, sono tra le poche concessioni moderne che noteremo tra i monaci: ciò non toglie che molti di loro siano sprovvisti di telefonini e i muli siano ancora comunque il mezzo principale per lo spostamento di uomini, provviste e mezzi. Sono ancora loro a spostare il 90% delle merci e sono talmente numerosi da fare quasi parte del paesaggio circostante ai monasteri.
Il cortile interno del monastero è piccolo e raccolto ma ornato di splendide aiuole piene di rose profumate. Sostiamo all’ombra degli alberi secolari, a leggere e chiacchierare, con i monaci che passano ogni tanto e, intenti nelle loro attività sembrano non accorgersi della nostra presenza. In realtà se ne sono accorti eccome, tanto è vero che uno di loro, verso le 11.30, ci viene a chiedere se pranzeremo lì. Acconsentiamo, e dopo pranzo sostiamo ancora per un po’ all’ombra degli alberi mossi dalla leggera brezza che viene dal mare.
Dopo la confusione delle camerate del Grande Lavra, questo è un vero toccasana. Rientriamo nel tardo pomeriggio al monastero e, mentre ci organizziamo per le docce, ci raggiunge un monaco, che, con fare abbastanza burbero ci chiede perché ci siamo fermati a dormire lì una seconda notte. Ci riferisce che il regolamento del Grande Lavra prevede una sola notte di ospitalità, noi ci scusiamo rispondendo che non lo sapevamo. Se ne va senza commentare: effettivamente non lo sapevamo e ritornati sulla terrazza notiamo infatti il cartello. Pazienza, ormai è fatta, perlomeno abbiamo potuto andare a vedere la bella skiti rumena e potremo gustarci di nuovo stasera gli affreschi del refettorio.
Questa sera decido di entrare anche nel katholicom per seguire una parte della funzione, come un paio del nostro gruppetto sono soliti fare. Resisto non più di qualche decina di minuti, come nella mia esperienza precedente. Anche questa chiesa si presenta scura e cupa, con i muri anneriti dal fumo delle candele ed il celebrante non fa eccezione alla regola intonando una incessante cantilena apparentemente senza capo nè coda. In quei momenti di noia assoluta sento di meritarmi la definizione di eretico!
Preferisco dunque sostare fuori, in attesa della fine della funzione e quindi del trasferimento al refettorio, all’ombra dei secolari cipressi. Mi raggiunge il mio amico Michele ed entrambi ci alziamo in piedi quando passa un monaco che percuote il Talanton: ormai siamo esperti del posto e sappiamo riconoscerne il battito. Il talanton è una trave appesa ad una fune che segna il ritmo della vita del monastero. Ne esiste però anche una versione “portatile”, quella che sta ora battendo un monaco con una specie di martello di legno per richiamare i fedeli alla funzione religiosa. Il monaco gira intorno ai cortili e al katholicon, secondo una prassi che abbiamo già vissuto in altri monasteri. Tornerà più tardi, alla fine della funzione per percuotere quello fisso che sta davanti al refettorio.
All’uscita dalla funzione si ripete la selezione tra ortodossi ed eretici: questa sera ci sono altri cattolici, siamo un gruppo leggermente più numeroso. Passo praticamente tutta la cena con lo sguardo rivolto agli stupendi affreschi mentre il lettore accompagna il tintinnio delle stoviglie di acciaio con la sua cantilena. Vorrei che non finisse mai ma inesorabilmente, dopo una ventina di minuti, si azzitisce. E’ il solito segnale: tutti si alzano in piedi, i monaci escono per primi seguiti da ortodossi prima e noi cattolici per ultimi. L’ultimo sono proprio io, cerco di guadagnare ancora pochi secondi riempiendomi gli occhi di quelle splendide immagini. Addio, grande Lavra.

26-05-2007
Oggi ci trasferiamo ad Iviron, terzo monastero in ordine di importanza, dove però non dormiremo. Il pulmino che funge da collegamento tra i due monasteri parte prestissimo, poco dopo le 6.30. Ci scarica davanti al monastero un’oretta dopo e noi lo visitiamo con calma. Mi affascina la torre campanaria, con un geniale meccanismo per far suonare le campane. Riusciamo a vedere anche la cappella che conserva quella che è forse la icona più importante e venerata del Monte Athois, la madonna Portaitissa, ovvero guardiana della Porta con intorno una serie innumerevole di ex-voto. L’icona è splendida, ricoperta di lamine d’oro. Sul collo, visibile, un taglio: secondo la leggenda, è un colpo di spada inferto da un pirata che intendeva saccheggiare il monastero: subito l’icona cominciò a sanguinare e il pirata si convertì, aggregandosi al convento e diventando uno dei monaci più ferventi, tanto che diventò santo con il nome di San Barbaro: un nome scelto in segno di umiltà, perchè non si sentiva degno di portare un nome diverso.
Adiacente al Katholikon un bel negozietto di icone e altri piccoli souvenir, con al banco un simpatico monaco che ci chiede informazioni sui Paesi di nostra provenienza e ci regala ampi sorrisi: per una volta non ci sentiamo semplicemente i cugini cattivi! Il monastero è quasi in riva al mare, e le mura imponenti quasi sembrano soffocare gli edifici interni, che meriterebbero uno spazio maggiore. Iviron, deve il suo nome agli Iberi, che contrariamente a quello che si può pensare, non ha nulla a che vedere con gli Iberici: Gli Iberi erano i Georgiani che lo hanno fondato, ma che ora non sono più in questo monastero, abitato ora da una cinquantina di monaci di origine Greca.
Attendiamo di nuovo il passaggio del pulmino che ci riporterà indietro verso la fermata del battello della grande Lavra. Ci imbarchiamo infatti nella tarda mattinata, e torniamo indietro circumnavigando di nuovo la penisola e godendoci nuovamente lo spettacolo delle scogliere, del Monastero di san Paolo, di san Dionisio, san Gregorio, il “nepalese” nelle forme Simonos Petra.
Arriviamo a Dafne, capolinea di questo traghetto “interno” e punto di partenza di quello che va a Ourianopolis. Il nostro programma prevede il trasferimento con uno scassatissimo pulmino di linea, che parte sempre 15 minuti dopo l’arrivo dei vari traghetti, verso la capitale, Karies.
La strada per arrivarci si inerpica verso l’interno ed è sterrata e polverosa: ci impieghiamo circa una mezz’oretta, lasciandoci alle spalle un altro monastero, Xiropotamou, che visiteremo al ritorno. La nostra destinazione è la skiti di sant’Andrea, che nulla ha a che vedere con le piccole skiti che abbiamo visto finora: chiamata anche “Il palazzo” la skiti è più grande anche di molti dei 20 Monasteri e dipende dal monastero di Vatopedi, il secondo in ordine di importanza che noi non visiteremo. Tanto per dare un’idea dell’imponenza di questo complesso basti pensare che ad inizio secolo era abitata da ben 400 monaci, quasi tutti di etnia Russa. Ospita ora la scuola dell’Athos e ci sono comunque una cinquantina di monaci al suo interno. Tuttavia ci colpisce il senso di abbandono in cui versano molti degli edifici interni. E’ facile immaginare che la skiti abbia vissuto tempi migliori, e allo stesso tempo è facile immaginare quanto bella deve essere stato il complesso in quei tempi tutto sommato non così lontani. Affreschi esterni decorano l’ingresso alle mura, con un bel portale che sembra un mix tra gotico e barocco. Dopo l’ingresso, un ampio cortile circondato da costruzioni che dimostrano avere decisamente bisogno di un restauro: in un angolo giacciono abbandonate quattro splendide campane in bronzo decorate. Ci assegnano una camera solo per noi, e davvero l’impressione che abbiamo è che lo spazio non sia davvero un problema qui. Le altre camerate sembrano quasi tutte vuote, benchè ci siano altri pellegrini. I bagni sono forse i più spartani che abbiamo trovato finora: considerato che il lusso è sconosciuto da queste parti, lascio immaginare…
Una volta sistemati, trascorriamo il resto del pomeriggio visitando il monastero di Kutlumusiou, sesto in ordine di importanza, poco distante da Karies. La visita ci rivela che effettivamente l’ordine di importanza ha ben poco a che vedere con la grandezza o la bellezza del monastero. Il complesso si rivela forse il più modesto tra tutti i monasteri visitati e si distingue solo per le loggie a porticato a tre piani sovrapposte, senza dubbio di grande effetto scenico, ma che non hanno l’aria di avere grande valore storico. Scopriamo infatti che risalgono al 18° secolo, poca cosa se paragonata a ben altre pregevoli costruzioni che si vedono in questa repubblica Monastica.
Tuttavia la cura del monastero e i giardini ben tenuti lo rendono piacevole. Visto che abbiamo toccato il tasto, va chiarito che l’ordine di importanza dei monasteri è determinata da diversi fattori: il valore storico, la qualità e quantità di tesori custoditi (manoscritti e affreschi, per esempio) il numero di monaci, la rilevanza “politica” avuta nel tempo. La grandezza contribuisce in minima parte.
Visto che per arrivare a Kutlumusiou abbiamo dovuto attraversare il Paese, ci soffermiamo anche a visitare Karies. In verità, la parola visitare, non deve trarre in inganno. Karies altro non è che una piazza con una manciata di case e piccole costruzioni intorno. E’ il centro amministrativo della Repubblica e le costruzioni principali sono il palazzo della santa comunità ( con le dovute cautele potremmo definirla la sede del governo!)e la chiesa principale, il Protaton. Un paio di negozi e un modesto bar ristorante sono gli unici locali pubblici. L’attrativa principale, almeno per noi, consiste nel sedersi sui muretti lungo la piazza e rubare qualche foto ai monaci, i quali, nella maggioranza dei casi, non amano essere fotografati. In linea di massima ci siamo sempre astenuti dal farlo all’interno dei monasteri, ben conoscendo la regola (in pochi rari casi abbiamo chiesto a qualche monaco che sembrava più accondiscendente, ricevendo anche dei dinieghi).
Tuttavia sulla piazza l’atmosfera è sempre sembrata in generale più rilassata complice probabilmente anche il fatto che i monaci sono fuori dai rispettivi monasteri, per cui tutto ci è sembrato più facile. Senza essere troppo invasivi, e con le dovute cautele, abbiamo fatto nei due giorni trascorsi da queste parti, delle belle foto ai monaci.
Verso le 17.00 torniamo alla Skiti, per scoprire che non c’è neppure l’acqua calda nelle scalcagnate docce. Ci riserva invece una bellissima sorpresa la cena, servita come quasi dappetutto alle 18.00: una gustosissima orata ai ferri: è la prima volta che mangiamo pesce e non sappiamo se sia semplicemente perché è sabato sera o perché c’è qualche avvenimento particolare. Poca importa, il pesce è una piacevolissima novità, dopo diversi giorni di zuppe, feta, olive e verdure!

27-05-2007
Partiamo ancor prima della colazione, dando fondo alle riserve di cibo che ci eravamo portati per questo viaggio. Il nostro trekking giornaliero sarà probabilmente tra i più belli di tutta la visita all’Athos. Una comodo strada, ovviamente deserta, ci porta verso il monastero di Stavronikita, sulla riva orientale della Penisola. La strada che scende verso il mare gira intorno alla collina dove è costruita la skiti di Sant’Andrea e, dopo una mezz’oretta di cammino, lo scorgiamo in alto, in una prospettiva completamente nuova, immerso nel bosco che lo circonda da tre lati (noi entravamo sempre dal quarto lato, quello che dava sulla strada!) che quasi ci impedisce di riconoscerlo. Il sole comincia già a picchiare, anche se non sono ancora le nove, ed è un sollievo rientrare nel boschetto che per un attimo ci aveva abbandonato. Alla nostra destra troviamo ad un certo punto un casa diroccata e, sorpresa, in una finestra del lato in ombra, una coppia di magnifici gufi! Sono a non più di 5 metri da me, ma, come spesso succede, ho appena messo la macchina fotografiche nello zainetto. Cerco di toglierlo molto lentamente, ma ovviamente non c’è nulla da fare: i due splendidi animali, già allarmati dal fatto che mi sono fermato, spiccano il volo appena mi vedono togliere lo zaino. Pazienza. La strada che seguiamo termina proprio al monastero, appollaiato su uno spuntone di roccia panoramico sul mare.
Stavronikita, quindicesimo monastero in ordine di importanza, è anche l’ultimo che si è guadagnato il titolo di Monastero. Fondato nel XIII secolo, per oltre due secoli sarà proprietà di un altro monastero, Philotheou, e solo nel 1541 divenne autonomo, grazie all’Igumeno Gregorio Geromeriatis che riuscì ad affrancarlo ed ottenere dal Patriarca la nomina a Monastero indipendente. Dopo un periodo di splendore conobbe però nel XVIII secolo l’onta dell’abbandono per diversi decenni. Ripopolato, ora non sono molti i monaci che lo abitano, ma certamente sono abili nel tenerne in ordine i meravigliosi giardini colmi di rose che, complice anche la stupenda posizione, lo rendono tra i più piacevoli da visitare. A fianco della torre annessa alle mura che funge da ingresso, benchè sia ancora presto, troviamo il monaco adetto alla foresteria ad accoglierci con acqua, dolci e caffè. Ci gustiamo il ristoro all’ombra di un pergolato di viti, con una stupenda vista sul mare. I monasteri sono luoghi di silenzio e raccoglimento, ma, davvero, in un luogo del genere non serve la religione per esigere il silenzio e la contemplazione. Anche questo monastero è dotato di possenti mura esterne, quasi che la vicinanza con il mare e dunque l’esposizione a potenziali invasori, lo richiedesse. Lo spazio interno è occupato quasi completamente dal Katholikon e gli spazi per girare sono decisamente angusti, in aperto contrasto con il senso di libertà e apertura percepito all’esterno. Indugiamo in compagnia dei gatti che popolano i giardini fioriti intorno alle mura, scendiamo fino al mare, quasi nel tentativo di perdere tempo e non voler partire da questo luogo idilliaco.
Ma il programma ci impone di proseguire verso Pantokratoros, e salutiamo con un certo rammarico Stavronikita. Il sentiero che ci porta al monastero successivo, tuttavia, è piacevolissimo, perché corre lungo la costa, regalandoci scorci meravigliosi sul mare e spiaggette ovviamente deserte. Per fortuna è quasi sempre in ombra e camminiamo accompagnati dall’immancabile brusio delle cicale, colonna sonora di tutta la costa e le isole greche!
Pantokratoros si raggiunge in un’oretta di facile cammino, dapprima restando ad un centinaio di metri di altezza sul mare, poi scendendo improvvisamente verso il mare, ed infine inerpicandosi di nuovo verso il complesso, anche questo costruito su uno sperone roccioso come Stavronikita, che resta ancora visibile sulla linea della costa.
Settimo in ordine di importanza, Pantokratoros non sembra meritarsi, rispetto a Stavronikita, una maggiore importanza. Ai nostri occhi profani è molto simile per posizione, grandezza e, scopriamo, anzianità. Evidentemente, come detto in precedenza, i metri di giudizio sono altri.
Qui ci accoglie invece un micio che riposa tranquillamente all’ombra della veranda panoramica, con vista sulla costa e sull’altro monastero: una comoda panchina investita dalla brezza marina e un gatto che fa dolcemente le fusa, sono un toccasana per le nostre membra stanche…
L’interno del monastero ha tutte le porte sbarrate e non riusciamo ad entrare in nessun locale. Tuttavia il colpo d’occhio migliore, anche qui come prima, lo si ha sul complesso esterno. Confesso però che preferisco Stavronikita, perché più lineare. Pantokratoros, visto dall’esterno, ha una linea di mura più irregolare, anche se abbellita alla sommità dalle tipiche costruzioni a sbalzo, decorate da travi in legno curvate e dipinde a colori vivaci: azzurro, rosa, rosso, giallo. Ma non mi piacciono molto le piccole costruzioni addossate alle mura esterna che ne attenuano decisamente l’impatto visivo, aggiungendo confusione e un senso di disordine. Ma certamente non siamo in un luogo pensato per compiacere il lato estetico.
Torniamo lentamente sui nostri passi, soddisfatti per la bellissima giornata. Giungiamo a Karies nel tardo pomeriggio, intempo per goderci un po’ di attività nella piazza principale, e ceniamo nel refettorio del convento. Stasera niente pesce, siamo tornati alla solita sbobba!

28-5-2007
E’ il nostro ultimo giorno al Monte Athos! Decido con un paio di amici di scendere verso Dafne, per visitare l’ultimo monastero della nostra serie, Xiropotamou. Prendiamo il primo pulmino che scende a valle e ci facciamo lasciare al bivio che porta verso il Monastero. La visita non ci prende molto tempo. Ottavo in ordine di importanza, Xiropotamou secondo alcuni deve il suo strano nome ad un torrente che passava nel luogo dove è costruito: è una piana che domina il porto di Dafne. Secondo altri deve invece il suo nome ad uno dei primi monaci che abitò il luogo, Pavlos Xeropotamenos. L’interno è ben tenuto, con cortile a pianta rettangolare, circondato da alte costruzioni a tre piani e con al centro una splendida fiala coperta. Non c’è nessuno in giro ed anche qui non troviamo nessun locale aperto. Fa da contraltare a questa parziale delusione un silenzio e una pace che solo un monastero sa offrire tra i monumenti ad opera dell’uomo.
Assaporiamo la nostra ultima visita, consci del fatto che questi due viaggi ci hanno dato la possibilità non solo di visitare opere d’arte di importanza primaria nella storia dell’uomo e della cristianità, ma consapevoli anche che, al di là della fede che ognuno di noi può avere, un luogo come il Monte Athos è senza dubbio unico al mondo, e colui che ha la fortuna di visitarlo è certamente un privilegiato che porterà sempre dentro di sé un indelebile ricordo.
Una esperienza da raccomandare a tutti, per vivere una Grecia diversa, una Grecia ancora ancorata, per certi aspetti, al Medioevo. Insomma, un intrigante tuffo nel passato.MONASTERI VISITATI NEI DUE VIAGGI:
San Paolo
San Dionisio
San Gregorio
Simonos Petra
Grande Lavra
Iviron
Kutlumusiou
Stavronikita
Pantokratos
Xiropotamou

SKITI:
Sant’Anna (Grande Lavra)
Predromos (skiti rumena- Grande Lavra)
Sant’Andrea, scuola dell’Athos (Vatopedi)

BREVE GLOSSARIO

ARCHONDARIS: monaco addetto alla foresteria, incaricato di accogliere i viandanti e pellegrini ai quali il monastero dà ospitalità gratuita.
CENOBÌTICO: (dal greco “vita in comune”) Monastero dove i monaci fanno vita in comune, dove non esiste la proprietà privata, e ciascuno svolge i compiti affidatigli dall’Igumeno, il rettore del monastero. I monaci si riuniscono per le cerimonie religiose e per i pasti e vivono di solito all’interno del Monastero. Questa forma di monachesimo sta via via sostituendo l’organizzazione idiorritmica in tutto il monte Athos. Inizialmente tutti i monasteri erano a statuto idiorritmico, ora ne sono rimasti solo 7.
IDIORRITMICO: (dal greco “con regola propria”) Monastero dove i monaci vivono per conto proprio, in piccoli gruppi, con risorse derivanti dal proprio lavoro o dalle piccole proprietà che possono lasciare in eredità. Vivono sotto l'autorità di un superiore, in proprie abitazioni ed hanno in comune solo la chiesa centrale, il katholicon, ed il monastero. Forma di monachesimo che viene sempre più spesso soppiantato dal cenobitismo.
ISYCHASTIRIA: eremo isolato dove vive un solo monaco, dipendente comunque da un monastero che ne garantisce l’assistenza in caso di bisogno.
KALYVA: residenza monastica, costruita anche al di fuori della skiti da cui dipende, a volte proprio per questo dotata di una propria cappella.
KATHOLIKÒN: La chiesa centrale di un monastero, situata di solito al centro del complesso monastico. Qui si raduna la comunità monastica per la preghiera liturgica.
SKITI: originariamente definiva un gruppo di eremiti che vivevano insieme, anello di collegamento tra i cenobiti, ovvero un gruppo di monaci riuniti in un convento, e gli eremiti veri e propri. Nel monte Athos le skiti sono dei gruppi monastici minori che dipendono e vengono supportati da uno dei venti monasteri.
TALANTON: lunga barra di metallo o più spesso di legno, che viene percossa da un monaco con un martello per richiamare i fedeli alla liturgia. Presente in ogni monastero, può essere fisso o portato da un monaco.

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